Letture del mese – Ottobre ’20 (Jared Diamond – Armi, Acciaio E Malattie)

Spesso ci troviamo di fronte domande, in apparenza relativamente semplici, che però richiedono risposte complesse. A volte sono così complesse che necessitano di essere scritte in un libro per poter essere articolate a dovere. Un esempio può essere “Apologia del mestiere di storico” di Marc Bloch, scritto per rispondere al figlio che gli chiedeva cosa fosse la Storia, mentre un altro può essere il libro di cui parleremo oggi.

JARED DIAMOND – ARMI, ACCIAIO E MALATTIE

Metto le mani avanti dicendolo fin da subito: “Armi, Acciaio e Malattie” è uno dei libri che più ha influito sulla mia crescita individuale, tanto da spingermi a tuffarmi nel mondo dell’antropologia. È stato un bel tentativo, ma riuscire a coniugare studio e lavoro full time si è rivelato essere ben oltre le mie capacità. Ciononostante la passione per l’argomento è rimasta ed il libro in questione continua ad essere uno dei miei preferiti. Ma tornando alle domande semplici dalle risposte complesse, quale è stata la domanda che ha spinto l’autore a scrivere questo saggio?

È il 1972 e, durante una spedizione ornitologica in Papua Nuova Guinea, un giovane locale di nome Yali pone all’americano Jared Diamond (1937), fisiologo, geografo e non ultimo ornitologo, la seguente domanda: «Come mai voi bianchi avete tutto questo cargo e lo portate qui in Nuova Guinea, mentre noi neri ne abbiamo così poco?». Prima di vedere la risposta di Diamond, che ha necessitato qualcosa come venticinque anni per essere elaborata in modo soddisfacente, apro solo una piccola parentesi per spiegare cosa si intende per “cargo” in quell’angolo dell’Oceano Pacifico. Con questo termine si indicano collettivamente tutti quei prodotti industriali – tecnologici o meno – che giungono in Nuova Guinea attraverso le navi da carico, dette appunto cargo ship in inglese. Il concetto di “cargo” ha dato origine a tutto un corpus di credenze di stampo religioso, variamente diffuse tra Papuasia, Melanesia e Micronesia, dette “culto del cargo”. L’argomento è estremamente interessante e mi riservo di parlarne in modo più approfondito in futuro.

Tornando alla domanda di Yali, la risposta più semplice consiste nel ridurre tutto al primato tecnologico europeo che, negli ultimi cinquecento anni, si è fatto via via sempre crescente, sebbene si sia ridimensionato enormemente con la nascita dell’informatica e la conseguente digitalizzazione. Si tratta, tuttavia, di una ipersemplificazione del tutto insoddisfacente, dato che non spiega il perchè di tale primato. Esso nasce forse da qualche fattore biologico che stabilisce una superiorità innata dell’uomo bianco rispetto ad altre popolazioni? Questa idea, per altro già ampiamente smentita dalla genetica, viene rifiutata in toto dallo stesso Diamond sin dalle premesse iniziali del volume. Per l’autore, infatti, il motivo per cui sono stati gli europei a colonizzare l’America e non il contrario, risiede in alcune significative differenze ambientali che hanno precluso alcune strade a diverse popolazioni, lasciandole invece aperte ad altre, portando quindi a destini radicalmente diversi.

Si tratta in apparenza di una argomentazione piuttosto debole, che offre il fianco ad essere bollata come determinismo ambientale e lo studioso americano ne è pienamente consapevole. Ecco perchè Diamond affronta la questione con un approccio pluridisciplinare – Bloch approverebbe – attingendo da materie apparentemente lontane tra loro come la storia, la biologia, l’antropologia, l’ecologia, l’epidemiologia e molte altre, forte anche del suo percorso di studio che lo ha portato a specializzarsi in diversi campi. Il risultato è un ottimo volume di nemmeno quattrocento pagine, suddiviso in quattro macrosezioni.

La prima funge da introduzione, affrontando la storia del genere umano a partire dalla sua diffusione per il globo dopo la sua uscita dall’Africa fino a giungere all’epoca della colonizzazione europea, descrivendo la nascita e l’evoluzione delle varie società umane. La seconda parte, invece, affronta una delle questioni cruciali dell’intero volume, ossia la nascita dell’agricoltura – e con essa della domesticazione degli animali, là dove questa fu possibile – che avvenne in maniera indipendente in più aree del pianeta, fornendo alle società di agricoltori un vantaggio enorme, in termini numerici e di risorse alimentari, sulle popolazioni di cacciatori-raccoglitori. La terza sezione parla della conseguenza della rivoluzione agricola, ossia la nascita delle prime società complesse. L’alta densità abitativa delle prime città e la promiscuità con il bestiame furono alla base del passaggio di agenti patogeni tra questo e gli esseri umani, portando all’insorgere di nuove malattie – è esattamente quello che succede ancora oggi con i virus influenzali, con la MERS e soprattutto con il Sars-CoV2 – mentre la necessità di organizzare un vasto numero di individui portò all’invenzione della scrittura e quindi ad uno scambio sempre più efficace di conoscenze, con ampie ricadute in ambito tecnologico. La quarta parte, infine, tira le somme di quanto scritto in precedenza applicando il tutto a casi concreti come l’Oceania oppure all’Africa subsahariana o ancora alla Cina e al Sudest asiatico.

In apparenza può sembrare un calderone di concetti – e lo è in parte – ma l’autore ha il pregio di riuscire a condensarli ed esporli  in modo semplice e lineare in meno di quattrocento pagine. Non è una cosa che è in grado di fare chiunque, dimostrando ancora una volta quanto sia difficile riuscire a fare della buona divulgazione, rendendo accessibile a chiunque attraverso un linguaggio semplice, ma al tempo stesso rigoroso, concetti che altrimenti resterebbero confinati in saggi specialistici o paper scientifici. Ammetto di non essere imparziale, ma a mio avviso si tratta di un libro che andrebbe letto almeno una volta nel corso della propria vita.

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