Letture del mese – Luglio ’20 (Christopher R. Browning – Uomini comuni)

Niente libri da spiaggia in questo luglio (post)pandemico, bensì un ritorno alle letture impegnate con un saggio storico di spessore sull’Olocausto a firma di uno dei maggiori studiosi dell’argomento.

 

CHRISTOPHER R. BROWNING – UOMINI COMUNI

Christopher R. Browning (1944) è stato Professore Emerito di Storia presso la University of North Carolina, prima di diventare Professore ospite alla University of Washington a Seattle. Ha all’attivo una vita di ricerca sull’Olocausto ed è probabilmente uno degli studiosi più titolati ad esprimersi sull’argomento, come si evince anche dal suo ruolo di consulente in diversi processi contro autori negazionisti come Zundel o Irving.

Il 13 luglio 1942, nel villaggio polacco di Józefów  vennero rastrellati circa 1800 ebrei. Poche centinaia, considerati abili al lavoro, furono deportati per essere introdotti nel sistema di sfruttamento industriale nazista come schiavi a basso costo. I restanti, in prevalenza anziani, donne e bambini, furono condotti nel vicino bosco e qui uccisi a sangue freddo.

I responsabili furono gli uomini del Battaglione 101 della riserva della Ordunungspolizei tedesca. Riservisti di mezza età, di estrazione prevalentemente proletaria, non particolarmente politicizzati. Uomini dalle vite normali, reclutati per lo più nella zona di Amburgo, lontani anni luce dallo stereotipo dell’oltreuomo ariano, guerriero politico dedito alla difesa della razza, incarnato dall’uomo delle SS. Si tratta, come suggerisce il titolo, di uomini comuni a tutti gli effetti.

L’autore basa l’intero lavoro sul materiale giudiziario raccolto dalla procura di Amburgo in concomitanza del procedimento penale contro il Battaglione, svoltosi tra il 1962 ed il 1972. Si tratta in buona parte delle deposizioni di 210 uomini, su un reparto che a pieni ranghi non raggiungeva i 500 effettivi, ancora vivi ai tempi delle indagini. Ciò risulta particolarmente interessante, perché offre al lettore uno spaccato interessante del mestiere di storico e di uno dei suoi aspetti più importanti, ossia l’approccio alle fonti. Una volta trovato un documento e/o una testimonianza, infatti, è necessario valutarla criticamente per soppesarne il valore ed evidenziare eventuali criticità.

In questo caso particolare ci troviamo di fronte ad un tipo di fonte piuttosto particolare. Se da un lato abbiamo l’autorevolezza di un soggetto come la magistratura tedesca, dall’altro abbiamo una distanza temporale di circa venti anni tra gli eventi e la deposizione: un lasso di tempo così lungo può alterare i ricordi, senza dimenticare che trattandosi di un processo molti degli imputati possono aver mentito o finto di non ricordare diversi avvenimenti nel tentativo di alleggerire la propria posizione. In casi come questo allo storico non resta che vagliare le dichiarazioni una ad una, mettendole a confronto ed evidenziando tanto i punti comuni quanto le differenze per delineare un quadro degli eventi il più possibile attendibile. Browning in questo modo screma le testimonianze arrivando ad un nucleo di 125 testimoni che dichiara attendibili, tutti indicati con pseudonimi, salvo gli ufficiali in comando, in ossequio alla normativa tedesca sull’utilizzo dei dati personali.

Józefów non fu un caso isolato. Il Battaglione 101 ed in generale l’Ordnungspolizei furono ingranaggi della gigantesca macchina di morte organizzata dal regime nazista e ripercorrere le azioni criminose del reparto dà modo di seguire passo dopo passo le varie fasi della Shoah nel distretto di Lublino. Le fucilazioni di massa del cosiddetto “olocausto delle pallottole” cedettero il posto allo sterminio industriale nei campi di Treblinka, Sobibor e Belzec sotto la supervisione di quell’Odilo Globocnik che nell’autunno del 1943 diventò comandante delle SS a Trieste dove istituì il famigerato campo alla Risiera di San Sabba.

Sullo sfondo i singoli militari e le loro molteplici reazioni all’orrore. Una manciata di uomini, facendo leva sulla propria coscienza e sulla propria fede religiosa, rifiutò pubblicamente e a più riprese di prendere parte alle stragi, mentre altri elaborarono diversi escamotage per evitare di sporcarsi le mani di sangue senza esporsi. Ci fu anche chi, come il tenente Gnade, sviluppò un piacere sadico nell’umiliare e derubare le vittime, mentre il capitano Wohlauf arrivò addirittura a farsi accompagnare dalla moglie durante l’evacuazione – leggasi eliminazione – di un ghetto. La maggior parte degli uomini, però, si limitò ad obbedire ciecamente agli ordini.

È proprio questa “zona grigia” che suscita l’interesse dell’autore, che nelle sezioni finali del volume tenta di spiegare perché degli uomini di mezza età, non politicizzati, si siano trasformati in implacabili dispensatori di morte. Nonostante la lunga dissertazione, che tira in ballo anche esperimenti di psicologia sociale come quello di Milgram e studi sui reduci della guerra del Vietnam, lo stesso Browning ammette che non è possibile trovare una risposta univoca. E questo è disturbante, molto.

Uomini Comuni” è un lavoro serio e rigoroso, un testo che consiglio a tutti coloro che sono interessati ad approfondire la tematica dell’Olocausto senza indugiare in particolari granguignoleschi. Al tempo stesso, però, è un libro che lascia un vago senso di inquietudine, perchè lascia il lettore con il più inquietante dei quesiti: se i carnefici del battaglione 101 erano davvero uomini comuni, noi come ci saremmo comportati nella medesima situazione?

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