Epaminonda e la breve stagione dell’egemonia tebana

Le Beozia con Tebe e altri centri.
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Parlando di Grecia antica si finisce quasi inevitabilmente a concentrarsi su Sparta e Atene, le due póleis che idealmente rappresentano la stessa idea di epoca classica. Eppure anche Tebe riuscì, seppure per un tempo incredibilmente breve, ad esercitare la propria supremazia sul resto dell’Ellade. Ciò fu possibile grazie ad una vera e propria rivoluzione militare, ispirata da figure incredibilmente carismatiche come Pelopida ed Epaminonda. Seppur brevissima, la stagione dell’egemonia tebana ebbe conseguenze difficilmente immaginabili per i contemporanei. Ora scopriremo il perchè.

La guerra del Peloponneso (431-404 a.C.) si concluse con la disastrosa sconfitta di Atene. La polis attica era stata infatti costretta a rinunciare alla propria flotta e a sciogliere la lega delio-attica, entrambi strumenti essenziali per la sua politica di potenza nell’Egeo, oltre che ad assistere alla demolizione delle Lunghe Mura e ad una modifica delle proprie istituzioni in senso oligarchico. Come se ciò non bastasse, gli ateniesi furono costretti ad accettare la presenza di un governatore con pieni poteri, detto armosta, al comando di una nutrita guarnigione spartana alloggiata presso il porto del Pireo. Per quanto umilianti, le condizioni imposte da Sparta furono tutto sommato modeste, soprattutto se confrontate a quanto richiesto da Tebe e Corinto: le due póleis, infatti, arrivarono a proporre la completa distruzione della città.

Con la momentanea scomparsa dell’eterna rivale dallo scenario politico greco, Sparta si ritrovò di punto in bianco ad essere la potenza egemone nell’Ellade. Il modello spartano, però, era del tutto inadeguato al nuovo ruolo che la Storia stava affidando alla polis e non tardò a mostrare tutta la sua fragilità. La società spartana era suddivisa in un sistema di caste rigidamente separate tra di loro. Al vertice si trovavano gli Spartiati, mai più di poche migliaia e ridotti a circa tremila nel periodo in esame, che dedicandosi esclusivamente al mestiere delle armi erano gli unici a godere di pieni diritti in quanto unici veri cittadini. Seguivano i perieci, ossia gli abitanti delle città limitrofe, dediti per lo più al commercio, attività severamente proibita all’élite dominante, mentre il gradino più basso della società era composto dagli iloti. Costoro erano i discendenti dei Messeni asserviti nel corso dell’VIII secolo a.C. e di fatto schiavi senza diritti di proprietà dello Stato.

La mentalità della classe dirigente spartana, salvo eccezioni come Lisandro e pochi altri, era inoltre improntata ad un tradizionalismo così settario da renderla incapace di affrontare qualsiasi cambiamento. La necessità di inviare armosti presso altre póleis e diversi casi di arricchimento illecito a seguito dell’enorme aumento del flusso di denaro nelle casse cittadine, contribuirono a minare la coesione di una classe che stava già diventando numericamente sempre più debole.

Oplita su un vaso antico.
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L’egemonia spartana poggiava su fondamenta instabili anche per un altro motivo. La vittoria contro Atene era stata conseguita anche grazie al costante appoggio finanziario persiano e ora il Re dei Re si aspettava di vedere riaffermata la propria autorità sulle città greche dell’Asia minore. I lacedemoni, quindi, si trovavano nella scomoda situazione di essere in debito con un creditore poco indulgente e di non poterlo saldare senza perdere la faccia nei confronti di tutta la grecità. I persiani, quindi, aumentarono sensibilmente la loro ingerenza in Grecia, continuando a finanziare gli avversari di Sparta, in una sorta di divide et impera ante litteram.

Infine la clemenza mostrata nei confronti di Atene aveva permesso alla polis attica di riprendersi abbastanza in fretta. In un solo decennio, anche grazie all’oro persiano, gli ateniesi furono in grado di restaurare la democrazia cacciando gli oligarchi, mettere in mare un discreto numero di trireme e di procedere alla ricostruzione delle mura. Inoltre l’insoddisfazione di Tebe e Corinto si trasformò in cupo risentimento nei confronti dell’ex alleato per il fondato timore di essere relegati ad un ruolo di sudditanza paragonabile a quello dei membri della lega peloponnesiaca, che di fatto erano costretti a fornire la carne da macello per le guerre di Sparta.

Non deve quindi stupire se nel 395 a.C. una inedita federazione tra Tebe, Atene, Argo e Corinto, immancabilmente foraggiata dalla Persia, dichiarò guerra a Sparta, al momento impegnata in Asia Minore. Il conflitto si protrasse in modo inconcludente per circa otto anni, durante i quali l’esercito spartano dimostrò ancora una volta di meritare la propria fama. La guerra corinzia, questo il nome con cui passò alla storia, è interessante per tre motivi. A seguito dell’eliminazione del partito filospartano di Corinto, infatti, la città entrò in una vera e propria unione con Argo: mai era accaduto nella storia greca che due póleis arrivassero a condividere gli organi politici. In secondo luogo Tebe aumentò la propria influenza sulle città vicine, dando il via a quello che può essere considerato l’embrione della futura lega beotica.

Un darico d’oro coniato durante il regno di Artaserse II.
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Il terzo motivo, vista la portata delle sue conseguenze, è il più importante. Nel 386 a.C. Sparta convoca ed ospita un congresso panellenico per cercare una soluzione al conflitto. In realtà i convenuti si ritrovarono ad ascoltare passivamente un emissario persiano dettare le condizioni di Artaserse. La pace di Antalcida – o pace del Re – fu il punto più alto dell’ingerenza persiana negli affari greci. Il trattato ribadiva l’autorità assoluta del Re dei Re sull’Asia e quindi anche sulle città costiere greche: queste potevano darsi la forma di governo che preferivano, ma erano tenute a versare regolarmente un tributo al sovrano persiano. Per quanto riguarda il resto della Grecia, veniva introdotta la clausola di autonomia, secondo cui ogni polis doveva essere libera ed autonoma e per questo proibiva la nascita di leghe e alleanze. Di conseguenza Argo e Corinto dovettero rinunciare alla loro unione, mentre Tebe fu costretta a sciogliere la prima lega beotica. Non accadde altrettanto con Sparta e la sua lega peloponnesiaca, a cui anzi fu demandato il compito di vigilare sul mantenimento della pace e sul rispetto delle clausole del trattato.

Fu proprio durante una spedizione militare volta ad imporre lo scioglimento di una lega, quella calcidica promossa dalla città di Olinto, che Tebe venne occupata dagli spartani. Potendo contare su un appoggio interno, il comandante spartano Febida occupò la Cadmea, la roccaforte tebana, ed impose un governo filospartano con la conseguente espulsione – o eliminazione fisica – degli oppositori. Non si sa con certezza se Febida abbia agito per iniziativa personale o seguendo precise direttive, ma il suo fu un gesto privo di qualsiasi giustificazione formale, oltre ad un segno di profondo disprezzo verso i giuramenti sacri che accompagnavano la firma di qualsiasi trattato, ed inevitabilmente contribuì a scavare un solco profondissimo ed incolmabile tra le due città.

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