Un samurai che snuda la lama della sua katana e si lancia nella mischia invoncando la protezione di Gesù Cristo e della Vergine Maria. Un daimyo, un grande feudatario, inginocchiato a capo scoperto in attesa di essere battezzato da un missionario europeo. Si tratta di immagini che si discostano leggermente dalla nostra idea di Giappone, eppure furono estremamente comuni tra la fine del XVI e l’inizio del XVII secolo, durante i decenni conclusivi del Sengoku jidai, il periodo degli stati combattenti.
L’arrivo, del tutto casuale, di alcuni mercanti portoghesi sulle coste dell’isola di Tanegashima, a sud del Kyushu, ebbe conseguenze durature. Il contatto con gli europei, infatti, non soltanto aprì le porte del Sol Levante alle merci provenienti dal Vecchio Mondo, inaugurando così una serie di fruttuosi scambi commerciali, ma permise l’introduzione delle armi da fuoco – per saperne di più clicca qui – e l’arrivo di missionari cattolici che si prodigarono fin da subito a diffondere il Verbo.
Durante il regno di Giovanni III d’Aviz, la Corona portoghese aveva affidato alla neonata Compagnia di Gesù il compito di evangelizzare i possedimenti coloniali nelle Indie Orientali, all’epoca composti da una serie di avamposti commerciali dislocati tra India, Molucche e Macao. A tal scopo il sovrano nominò responsabile niente meno che Francesco Saverio, uno dei fondatori dell’ordine gesuita. Costui, dopo aver organizzato l’apostolato missionario a Goa, raggiunse il Giappone nel 1549, sbarcando a Kagoshima, capoluogo della provincia di Satsuma, e operando fin da subito le prime conversioni.
In genere i giapponesi si dimostrarono tolleranti nei confronti della nuova fede, così come lo erano stati secoli prima nei confronti delle dottrine buddhiste. La diffusione del cristianesimo fu sicuramente aiutata da una serie di equivoci, nati da alcune somiglianze con il Dharma buddhista. L’idea di una rinascita in cielo, infatti, non era del tutto avulsa dagli insegnamenti della scuola della Terra Pura, mentre la figura di Cristo non appariva troppo diversa da quella di Amida. Perfino tra i samurai, la casta dei guerrieri, si diffuse una certa simpatia nei confronti di Ignazio de Loyola, il fondatore della Compagnia di Gesù: si trattava pur sempre di un soldato di Cristo e tra guerrieri vi è sempre stata una forma di mutuo rispetto.
Le conversioni riguardarono anche numerosi feudatari, i daimyo, presto imitati dai loro sottoposti. Nei feudi di Bungo e Amakusa, accadde addirittura che gli abitanti fossero obbligati a seguire la conversione del loro signore. In molti casi, però, queste furono dettate più da motivi economici che non prettamente religiosi: molti feudatari, infatti, credevano di poter ottenere accordi commerciali più vantaggiosi – ed un numero maggiore di armi da fuoco – se avessero abbracciato la fede degli europei. Non deve quindi sorprendere che in più di una provincia i missionari venissero allontanati quando non erano accompagnati da mercanti.
L’opera di evangelizzazione, tuttavia, non fu priva di resistenze, soprattutto da parte del clero buddhista una volta che emersero insanabili differenze dottrinali. Uno dei pensatori più interessanti in questo frangente è indubbiamente Suzuki Shosan (1579-1655). Egli interpretò la teologia cristiana alla luce della fede buddhista. Dio, il Deus dei portoghesi, altro non è un grande Buddha, al quale si attribuisce una libertà infinita e la creazione dell’universo. In questa ottica Cristo diventa una sua manifestazione personale, un avatar. Tuttavia la pretesa cristiana dell’adorazione di un solo Buddha appare illogica agli occhi dei fedeli shinto-buddhisti. Perchè mai abbandonare Amida, Kannon e gli innumerevoli kami a favore di un Dio che manda il Cristo in croce per espiare i peccati dell’umanità?
A peggiorare la situazione contribuì l’intransigenza di molti missionari. Lo stesso Francesco Saverio predicava l’esclusivismo religioso, secondo cui l’unica religione accettabile era quella cristiana. Il suo zelo gli costò l’espulsione dal feudo di Satsuma appena un anno dopo l’accoglienza calorosa che gli era stata accordata dal signore locale. Come se ciò non bastasse l’eccesso di zelo dei neoconvertiti provocò il danneggiamento e la distruzione di diversi santuari buddhisti, il che causò un profondo malcontento.
Tra alti e bassi, l’opera dei missionari fu coronata dal successo. Alla morte di Oda Nobunaga, nel 1582, in Giappone si trovavano 200 chiese ed oltre 250.000 fedeli, concentrati in prevalenza nei dintorni di Nagasaki, città-sede delle missioni commerciali portoghesi. L’opera dei missionari cristiani fu enormemente favorita dal signore del clan Oda. Nella sua opera di riunificazione del paese, infatti, si era trovato ad affrontare i potenti monasteri buddhisti e gli estremisti della lega Ikko-ikki. Convinto che la diffusione del Cristianesimo potesse arginare l’influenza dei suoi nemici, Nobunaga non si fece il minimo problema a fornire appoggio e protezione ai missionari cattolici.
Il suo successore, Toyotomi Hideyoshi, continuò con la politica di supporto ai cristiani, ma le cose cambiarono nel 1587. Tornato a Kyoto dopo aver sottomesso il dominio di Satsuma, il feudo più importante del Kyushu, e dopo aver incontrato i leader gesuiti a bordo di alcuni vascelli portoghesi, decretò l’espulsione di tutti i preti stranieri dal paese entro venti giorni, lasciando presagire la messa al bando della religione cristiana. I gesuiti furono accusati di aver fomentato l’odio contro i fedeli shinto-buddhisti, mentre ai portoghesi fu rinfacciato il rapimento di diversi giapponesi poi venduti come schiavi. L’applicazione del decreto fu quanto mai blanda. I missionari finsero di partire alla volta di Macao, ma in massima parte si nascosero nei dintorni di Nagasaki. I mercanti portoghesi, infine, poterono continuare i loro traffici esattamente come prima.
A cosa fu dovuto questo repentino cambio di atteggiamento? Dal suo palazzo di Kyoto, Hideyoshi non si era mai reso conto della reale situazione nel Kyushu. Il numero di convertiti era aumentato enormemente, mentre nell’importante centro di Nagasaki il potere effettivo era esercitato dai gesuiti e di conseguenza dai portoghesi, in virtù della consuetudine della corona portoghese di considerare l’evangelizzazione come un affare di Stato. Insomma, il reggente vide nella penetrazione del cristianesimo una minaccia al suo potere, oltre ad un potenziale cavallo di Troia per la conquista del paese. Numerosi feudatari, infatti, erano in contatto diretto con le potenze europee proprio tramite il clero cattolico. L’editto del 1587 è quindi da leggersi come una sorta di grave avvertimento.
Un fatto ben più grave accadde dieci anni dopo a Kyoto. Ventisei cristiani – i cosiddetti “martiri di Nagasaki” – tra cui sette francescani spagnoli, accusati di essere entrati illegalmente nel paese e di aver fatto opera di proselitismo, vennero torturati e crocefissi sulla collina di Tateyama. Anche in questo caso si trattò di un segnale destinato agli europei, una vera e propria dimostrazione di forza. La corona spagnola aveva di recente preso possesso delle Filippine, avvicinandosi pericolosamente alle coste nipponiche, dopo che i missionari ne avevano convertito la popolazione. A differenza del Portogallo, la Spagna era una vera e propria superpotenza: una minaccia che non poteva essere sottovalutata.
La morte di Hideyoshi (1598) e la battaglia di Sekigahara (1600) spianarono la strada a Tokugawa Ieyasu. Nonostante un’iniziale tolleranza nei confronti dei cristiani, Ieyasu non si fidava di loro. Anzi, il fatto che la dottrina cattolica fosse così diffusa proprio nei possedimenti dei principali tozama daimyo, i feudatari che a Sekigahara si erano schierati contro di lui e che ora erano esclusi dal governo del paese, lo spinse a mettere i cristiani sotto stretta sorveglianza. Il nuovo shogun, infatti, temeva non solo che i suoi ex nemici potessero rivolgersi alle potenze europee per sollevarsi contro il suo governo, ma anche che le conversioni di massa potessero spianare la strada ad una invasione spagnola.
Il punto di rottura giunse nel 1612. Gli spagnoli continuavano imperterriti ad inviare più missionari che mercanti, mentre la comparsa nel Pacifico delle flotte olandesi ed inglesi offrì allo shogun la possibilità di commerciare con nazioni meno bigotte e non legate a Roma. La persecuzione iniziò blandamente, sotto forma di editti che invitavano i cristiani alla moderazione. Ben presto, però, le misure dello shogunato divennero più drastiche.
Nel 1614 la repressione colpì soprattutto la zona di Nagasaki, con violenza maggiore rispetto al passato. Il 27 gennaio, Ieyasu promulgò un nuovo editto che prevedeva l’espulsione di tutti i missionari e preti stranieri, oltre a mettere fuorilegge il Cristianesimo. Per la prima volta i convertiti giapponesi erano in pericolo di vita a causa della loro fede. Dal canto loro i missionari europei, convinti di avere a che fare con una nuova versione dell’editto del 1587, fecero finta di lasciare il paese. Gli eventi successivi dimostrarono che si sbagliavano enormemente.
Nel 1618 il nuovo shogun, Tokugawa Hidetada, diede il via ad una persecuzione in grande stile. Ne furono vittime tanto i giapponesi convertiti, quanto i missionari stranieri. Se per questi ultimi le autorità nipponiche si limitavano alla deportazione fuori dal paese, i primi furono oggetto di vessazioni di ogni tipo. Tra chi decise di abiurare pubblicamente, in molti continuarono a praticare in clandestinità, diventando kakure kirishitan, letteralmente cristiani nascosti. Costoro apparivano in pubblico come devoti buddhisti, ma nel segreto delle loro abitazioni continuavano a celebrare i riti cattolici. Le preghiere vennero modificate in modo da assomigliare a canti buddhisti, mentre i santi e la Madonna iniziarono ad essere raffigurati come manifestazioni del Buddha stesso.
La situazione peggiorò ulteriormente con l’ascesa di Tokugawa Iemisu. I missionari sorpresi all’interno del paese vennero torturati a morte, mentre i carnefici escogitarono un metodo quasi infallibile, chiamato yefumi, per smascherare i kakure kirishitan: agli arrestati veniva intimato di calpestare una immagine sacra e in caso di rifiuto venivano suppliziati, insieme al resto della loro famiglia. La legge giapponese dell’epoca, infatti, non riconosceva il concetto di responsabilità individuale: per colpa delle azioni di un singolo le sanzioni potevano colpire tutto il suo nucleo famigliare e, nei casi più gravi, tutto il suo villaggio.
Nel 1637, la rivolta di Shimabara rappresentò l’ultimo colpo di coda dei convertiti giapponesi. Diverse migliaia di contadini appartenenti all’ex feudo cristiano di Arima, nel Kyushu settentrionale, si ribellarono al loro nuovo feudatario. La reazione dello shogunato fu spietata e la rivolta venne soffocata nel sangue, anche grazie all’aiuto offerto dalla flotta olandese, che bombardò con efficacia le roccaforti ribelli. La locale comunità cristiana venne passata a fil di spada e sostituita da coloni provenienti da altre parti del Giappone. Le autorità infine istituirono nella zona il sistema del teruake: ogni abitante venne affiliato ad un tempio buddhista che rilasciava un certificato di “ortodossia” e fedeltà al governo shogunale.
Ulteriore conseguenza della rivolta, su scala molto più grande, fu l’inaugurazione della politica del sakoku, ossia dello stato chiuso. Agli stranieri venne proibito l’accesso al suolo giapponese – nel 1640 degli ambasciatori portoghesi vennero decapitati per essere approdati – con l’unica eccezione degli olandesi, cui era permesso l’attracco a Nagasaki. Come se ciò non bastasse a diverse migliaia di cittadini nipponici residenti all’estero, tra cui molti cristiani che si erano rifugiati nelle Filippine per sfuggire alle persecuzioni, fu impedito il rientro in patria.
Le persecuzioni contro i kakure kirishitan proseguirono ancora per qualche decennio, con intensità calante. Le ultime crocefissioni sono attestate intorno al 1660. Il culto clandestino riuscì tuttavia a sopravvivere ben celato agli occhi delle autorità e, quando a seguito della Restaurazione Meiji, nella seconda metà dell’Ottocento venne ristabilita le piena liberta di culto, diverse migliaia di cristiani nascosti poterono tornare a praticare alla luce del sole.
BIBLIOGRAFIA
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