Le conseguenze della pace di Lodi nell’Italia del Rinascimento

L’Italia nel 1494. Fonte Wikipedia

In un vecchio post abbiamo tracciato il tortuoso percorso, fatto di decenni di lotte intestine tra i vari potentati in cui era suddivisa la Penisola all’epoca, che portò alla firma della pace di Lodi il 9 aprile 1454. L’articolo, tuttavia, si limitava a tratteggiare solo in maniera estremamente marginale l’impatto che l’evento ebbe sull’Italia del periodo, senza nemmeno accennare alle sue implicazioni sul lungo periodo. Ecco perchè ho deciso di tornare sull’argomento.

La stipula del trattato lasciava un’Italia frammentata in una infinità di staterelli, molto spesso di dimensioni poco superiori a quelle di una signoria trecentesca. A fianco di questo pulviscolo geopolitico, emergevano almeno cinque entità che per dimensioni e potenza primeggiavano sulle altre: si trattava della Repubblica di Venezia, della Repubblica di Firenze, del Ducato di Milano, del Regno di Napoli e dello Stato della Chiesa. Nessuno di questi era tuttavia abbastanza forte da poter imporre la propria egemonia sugli altri, come era stato ampiamente dimostrato nella prima metà del Quattrocento, e questo spinse i loro governanti ad operare a favore del mantenimento dello status quo.

Già solo pochi mesi dopo la firma della pace di Lodi, per la precisione il 30 agosto, a Venezia venne concluso un trattato di alleanza tra la Serenissima, Milano e Firenze che costituì l’embrione da cui nacque in seguito la Lega Italica. Proclamata solennemente il 2 marzo dell’anno successivo, con l’adesione di papa Niccolò V, del Regno di Napoli e di numerosi stati minori, questa sanciva l’integrità territoriale dei suoi membri, anche attraverso il reciproco aiuto in caso di aggressione ai danni di uno dei firmatari, ed una tregua venticinquennale. La nascita della Lega congelò di fatto la situazione politica della Penisola, che rimase pressocchè inalterata per un quaranta anni.

Sisto IV ritratto da Tiziano.
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La pace così ottenuta poggiava tuttavia su basi decisamente fragili. Gli stati italiani non avevano smesso di guardarsi in cagnesco e di tramare nell’ombra l’uno alle spalle dell’altro, dato che non tutti avevano abbandonato le proprie ambizioni espansioniste. In questo senso Papa Sisto IV ricoprì un ruolo preponderante, divenendo l’eminenza grigia dietro a praticamente tutte le congiure elaborate nel periodo. La sua politica era improntata al rafforzamento del Papato in Umbria e alla creazione di un principato in Italia centrale retto da suo nipote Girolamo Riario, signore di Imola e successivamente anche di Forlì. Tale progetto costituiva una minaccia inaccettabile per Firenze, che rischiava così di ritrovarsi accerchiata su più lati. Fu proprio l’opposizione della famiglia Medici a queste mire una  delle cause scatenanti della Congiura dei Pazzi.

Il 26 aprile 1478 due sacerdoti, assoldati come sicari dalla famiglia di banchieri fiorentini dei Pazzi, pugnalarono a morte Giuliano de Medici e ferirono in modo lieve il fratello Lorenzo durante una messa officiata nel duomo di Firenze. L’atto sacrilego scatenò una vera e propria rivolta popolare contro i congiurati che in breve tempo furono scovati, linciati dalla folla e giustiziati per impiccagione. L’unico imputato ad essere decapitato fu Giovan Battista da Montesecco che, sotto tortura, rivelò tutti i dettagli del complotto, compreso il coinvolgimento del Pontefice. Il fallimento della congiura e la sollevazione del popolo a proprio favore, consolidarono il potere nelle mani di Lorenzo de Medici in un momento cruciale.

Sisto IV, infatti, non era il tipo da arrendersi di fronte alle prime avversità. Fallita la Congiura dei Pazzi, il Papa scomunicò Lorenzo e mosse guerra a Firenze con l’appoggio del re di Napoli e della repubblica senese. Il conflitto produsse enormi devastazioni nel Chianti e in Val d’Elsa, protraendosi per circa due anni, ovvero fino a quando la minaccia ottomana, concretizzatasi con una spedizione in Puglia che aveva portato al Sacco di Otranto (1480), convinse i contendenti a firmare in fretta e furia una pace bianca e a fare quadrato contro il nemico esterno.

Nel 1482 Sisto IV torna nuovamente a tramare nell’ombra, prendendo le parti di Venezia in una diatriba con gli Estensi di Ferrara riguardo al monopolio del commercio del sale. Delle questioni economiche a Sisto importava relativamente poco, ciò che gli premeva era riuscire ad indebolire Ferrara per permettere all’adorato nipote di impossessarsene. Lo scontro militare si risolse in una vittoria totale per la Serenissima, che con la pace di Bagnolo (1484) prese possesso di Rovigo e del Polesine, restituendo ad Ercole I d’Este i territori occupati a sud del Po.  Il povero Girolamo Riario tornò nei suoi possedimenti con le pive nel sacco, senza poter più contare sull’appoggio del Pontefice che nel frattempo era morto a causa di una febbre.

Lorendo de Medici.
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A succedergli sulla Cattedra di San Pietro fu Innocenzo VIII. Il suo fu un classico esempio di pontificato di transizione, frutto del compromesso tra le due correnti in cui era divisa la Curia romana, spaccata a metà tra i sostenitori di Giuliano della Rovere, il futuro Giulio II, e quelli di Rodrigo Borgia, il futuro Alessandro VI. La scelta cadde su di lui per il suo carattere piuttosto debole e poco ambizioso ed è proprio a causa di ciò che venne abilmente manipolato da quel Lorenzo de Medici, passato alla storia con l’appellativo “Il Magnifico”, che nel frattempo era diventato il vero e proprio ago della bilancia della politica italiana. Il suo instancabile lavoro diplomatico non solo consolidò il ruolo della sua famiglia e di Firenze, ma consentì un ulteriore periodo di pace, anche grazie all’appoggio del Papato. Unica eccezione furono una serie di conflitti tra Santa Sede e regno di Napoli, provocati dal tentativo aragonese di liberarsi dal vincolo feudale che legava Napoli a San Pietro. Si trattò, tuttavia, di un episodio minore che si concluse con un nuovo trattato che sanciva la sostituzione del pagamento annuo di un tributo di 8000 once d’oro con il mantenimento di un contingente militare a difesa del Pontefice.

Nel 1492, la morte in rapida successione di Lorenzo e di Innocenzo privava l’Italia rinascimentale delle due figure che più di chiunque altro si erano prodigate per il mantenimento della pace. Il nuovo capofamiglia dei Medici, Piero il Fatuo, si rivelò del tutto inadatto a raccogliere l’eredità paterna: non solo era privo delle capacità diplomatiche necessarie a mantenere l’equilibrio della penisola, ma la sua esasperata tendenza al clientelismo esasperò la situazione interna a Firenze. A complicare ulteriormente le cose, l’elezione di Alessandro VI diede alla Chiesa un Papa spagnolo poco interessato alle vicende italiane, se non solo durante la seconda metà del proprio pontificato, durante la quale si prodigò per creare un vero e proprio regno da affidare al proprio primogenito Cesare. Inoltre nubi nere si stavano ammassando oltre le Alpi, con Spagna e Francia che iniziavano a volgere lo sguardo su terre che avevano tutto l’aspetto di una mela matura pronta ad essere colta.

Alessandro VI Borgia.
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Ricapitolando, la pace di Lodi, pur garantendo un periodo di relativa calma e prosperità che costituì l’humus per il Rinascimento, aveva condannato l’Italia alla frammentazione politica, impedendo quel processo che nelle isole britanniche, nella penisola iberica e in Francia aveva portato alla formazione delle monarchie nazionali. L’espansione territoriale aveva reso impossibile il controllo diretto di tutto il territorio da parte del monarca, rendendo necessarie tutta una serie di riforme strutturali nella gestione del potere e del controllo: si tratta della nascita, almeno in forma embrionale, degli stati moderni. In Italia questo tipo di processo manca del tutto, tanto che la struttura del potere negli stati italiani è quasi immutata rispetto ad un secolo prima. Quale che sia la dimensione dell’entità politica, siamo sempre di fronte a dei territori soggetti ad una città dominante, all’interno della quale chi è al governo deve badare bene ad elargire ricompense, regalie e ruoli pubblici per garantirsi l’appoggio delle altre famiglie, pena l’estromissione violenta. La mancanza di una struttura statale degna di questo nome, faceva da specchio all’assenza di eserciti che non fossero composti in buona parte da compagnie di ventura, ben poco affidabili vista la predisposizione a vendersi al miglior offerente.

Se ciò risulta vero soprattutto a Firenze, Venezia e nelle numerose altre repubbliche che componevano il mosaico politico della penisola, in una certa misura lo stesso principio vale anche per Milano e Napoli. Il potere delle famiglie regnanti nel Ducato e nel Regno, infatti, risultava estremamente fragile a causa della mancanza di un forte principio dinastico che legittimasse a pieno gli Sforza e la casa di Aragona. Nel caso di Napoli, infine, si era venuta a creare una vera e propria questione dinastica: Carlo VIII, il re di Francia, vantava attraverso la nonna paterna, Maria d’Angiò, un lontano diritto ereditario sulla corona del Regno di Napoli. Quando, nel 1494, decise di farlo valere, nessuno degli stati italiani era in grado di fronteggiare la potenza militare di una monarchia nazionale. Questa però è un’altra storia.

BIBLIOGRAFIA

A. Prosperi, Dalla Peste Nera alla guerra dei Trent’anni, Torino, Einaudi, 2000

A. Musi, Le vie della modernità, Milano, R.C.S. Libri S.p.A., 2000

L’Italia del Quattrocento e la pace di Lodi

Il centro-nord nel 1402. In verde il Ducato di Milano alla morte di Gian Galeazzo.
(Wikipedia)

La pace di Lodi, firmata nella città lombarda il 9 aprile 1454 dai rappresentanti delle maggiori potenze italiane dell’epoca, è un evento chiave per la storia medievale della penisola ed ebbe, come vedremo in questo altro post, pesanti conseguenze per i decenni ed i secoli a venire.

Come si può notare osservando le tavole di un qualsiasi atlante storico, la situazione geopolitica italiana all’inizio del Quattrocento è estremamente differente da quella attuale. Il centro-Sud presenta un aspetto più omogeneo e stabile – tale assetto si manterrà quasi inalterato per altri quattro secoli – con lo Stato della Chiesa, ancora scosso dallo Scisma d’Occidente che verrà ricomposto soltanto nel 1418 con il Concilio di Costanza, a governare sul Lazio, sull’Umbria e su parte delle Marche,  i due possedimenti aragonesi costituiti dal Regno di Sardegna e dal Regno di Sicilia, ed infine il regno di Napoli in mano angioina . Il centro-nord, invece, appare letteralmente balcanizzato, frammentato in decine di stati e staterelli che rappresentano il retaggio dell’epoca comunale prima e delle signorie dopo. Particolarmente frammentate erano le Marche e la Romagna che, pur essendo nominalmente sottoposte all’autorità papale ed inquadrate nella Provincia Romandiolae, erano suddivise in una miriade di potentati, spesso poco più grandi di un Comune medievale, de facto indipendenti.  La repubblica di Venezia occupava parte del Veneto, dell’Istria e della Dalmazia, mentre il Friuli era sottoposto all’autorità del Patriarcato di Aquileia. Ad ovest, invece, il Piemonte era diviso nei possedimenti dei Savoia che, attraverso due rami della famiglia, governavano sull’omonima contea e sul ducato di Torino – successivamente riuniti da Amedeo VIII nel 1416 – e nei marchesati di Saluzzo e Monferrato. Scendendo verso sud la Liguria era governata – sotto la fortissima influenza di Milano – dalla Repubblica di Genova, che amministrava anche la Corsica, mentre la Toscana era occupata per la maggior parte dalla Repubblica di Firenze, con a margine la piccola Repubblica di Lucca ed i possedimenti dei Malaspina sulla Lunigiana e nella zona apuana.  Infine a Mantova si trovavano i Gonzaga, mentre a Ferrara e Modena governavano gli Estensi.

Lo stato più potente dell’epoca era senza dubbio il Ducato di Milano che con Gian Galeazzo Visconti raggiunse la sua massima espansione territoriale, con ampi possedimenti in Piemonte, Veneto, Bologna e addirittura Toscana. Tuttavia, come spesso accade, il momento di massimo splendore coincise con l’inizio di un inarrestabile declino. Alla morte di Gian Galeazzo (1402) i domini viscontei iniziarono a cadere letteralmente a pezzi, a causa di continui intrighi di palazzo e dell’inattitudine dei suoi successori. In Veneto, ad esempio, la Repubblica di Venezia riuscì a prendere possesso di Verona e Padova rispettivamente nel 1402 e 1405, mentre in Toscana Siena riottenne la propria autonomia già nel 1404, mentre due anni dopo Pisa e buona parte della costiera tirrenica vennero inglobate da Firenze, ormai divenuta una potenza in grado di proiettarsi anche fuori dalla regione.

Filippo Maria Visconti, Duca di Milano
(Wikipedia)

L’occasione si presentò nel 1423, con la  morte del signore di Forlì. Costui nominò Filippo Maria Visconti, signore di Milano, come tutore di suo figlio ed erede, all’epoca ancora minorenne. Tale decisione fu contestata dalla vedova, figlia del signore di Imola, che prese il potere assumendo la reggenza per conto del figlio. Quella che in apparenza può sembrare l’ennesima banale scaramuccia dinastica tra piccoli potentati, degenerò rapidamente in un trentennio di lotte sanguinose, passate alla storia come Guerre di Lombardia, che coinvolsero quasi tutti gli stati italiani. I forlivesi, per nulla contenti di farsi governare da una “forestiera”, si ribellarono alla vedova del loro defunto signore, costringendola a riparare alla corte paterna, e chiesero aiuto al Ducato di Milano. Firenze vide in questo una nuova puntata espansionistica dei Visconti – e di conseguenza una minaccia ai propri interessi – e dichiarò guerra a Milano inviando un esercito in Romagna. La campagna si risolse in un disastro, tanto che la stessa Imola cadde nelle mani dei capitani di ventura viscontei, mentre altre sconfitte, su tutte quella di Zagonara, costrinsero i fiorentini a chiedere aiuto agli aragonesi di Napoli. I milanesi, dal canto loro, penetrarono in Toscana, dove vennero sonoramente sconfitti. Temendo un rafforzamento del potere dei Visconti, Venezia decise di allearsi con Firenze e nel 1426 l’esercito della Serenissima guidato dal Carmagnola riuscì ad espugnare Brescia. Il Duca di Milano, impegnato su troppi fronti, si vide costretto a chiedere l’intercessione papale per aprire le trattative di pace. In modo del tutto disinteressato, il Pontefice si fece consegnare dal Visconti le città di Forlì ed Imola, ristabilendo la presenza pontificia in Romagna, prima di iniziare i sondaggi diplomatici. Il trattato di pace – firmato alla fine del 1426 – stabiliva, tra le altre cose, il passaggio di Brescia ai veneziani e la restituzione al Ducato di Milano dei territori liguri occupati dai fiorentini.

Pace fatta, amici come prima. Invece no. Il Visconti, istigato dall’Imperatore Sigismondo del Lussemburgo, si rifiutò di ratificare il documento e nella primavera del 1427 la guerra tornò ad infuriare. Nonostante alcuni successi iniziali, i milanesi furono presto travolti dalle truppe veneziane, mentre l’attacco congiunto di Amedeo VIII di Savoia e del Marchese del Monferrato rendeva vacillante il confine occidentale del Ducato. La vittoria del Carmagnola a Maclodio costrinse il Visconti a chiedere una nuova pace che venne firmata nel 1428. Il nuovo trattato, oltre a confermare il dominio della Serenissima su Brescia, imponeva un governatore veneto anche a Bergamo e Crema. Firenze, invece, vide riconfermato il possesso di tutte le piazzeforti perse durante il conflitto.

Francesco Sforza
(Wikipedia)

La pace sembra essere nuovamente nell’aria, se non fosse che i fiorentini, in preda ad uno di quegli attacchi di campanilismo violento squisitamente toscano, prima stroncarono una rivolta a Volterra e poi volsero l’esercito verso Lucca, colpevole di aver appoggiato i Visconti nel conflitto appena concluso. I lucchesi disperati chiesero aiuto a Milano ed è qui che inizia la tragicommedia. Il signore di Milano era vincolato dal trattato che gli imponeva di non intromettersi negli affari di Firenze: come fece, quindi, ad aiutare gli alleati? La soluzione escogitata da Filippo Maria Visconti fu quella di finanziare di nascosto un esercito di ventura guidato dal celebre Francesco Sforza, in modo da mantenere una parvenza di estraneità alla faccenda. Lo Sforza arrivò a Lucca, sconfisse i fiorentini ed estorse loro la favolosa cifra di 50.000 ducati, quindi levò le tende abbandonando i lucchesi alla vendetta di Firenze. Immaginate la faccia del Visconti che a questo punto si vide costretto a chiedere aiuto ai genovesi, al momento subordinati a Milano, i quali inviarono un esercito di soccorso che sconfisse gli assedianti sulle rive del Serchio nel dicembre del 1430.

Paolo Uccello, La Battaglia di San Romano
(Wikipedia)

Con i fiorentini a leccarsi le ferite, cosa potrebbe mai impedire alla pace di sbocciare? L’intervento genovese preoccupò i veneziani che vi lessero un tentativo di espansione dell’unica grande potenza in grado di competere per il controllo delle rotte commerciali nel Mediterraneo. Di conseguenza il leone di San Marco chiuse il libro ed impugnò la spada, riaprendo di fatto le ostilità. Il 1431 iniziò malissimo per i veneziani, che vennero sconfitti dallo Sforza a Soncino e a Cremona. A peggiorare ulteriormente la situazione, i Savoia si unirono ai milanesi avventandosi sul Monferrato, mentre l’Imperatore Sigismondo si schierò apertamente a favore di Milano, scatenando la sua cavalleria nella pianura veneta. L’unica vittoria per la Serenissima venne dal mare, quando la flotta veneziana sconfisse quella genovese al largo di San Fruttuoso. Nel frattempo il Carmagnola, comandante in capo delle truppe venete, iniziò ad attirare su di se sospetti a causa della sua condotta. Accusato di essere stato corrotto dai Visconti, venne arrestato e decapitato per tradimento. In Toscana i fiorentini ebbero la meglio sui senesi, alleati di Milano, nella battaglia di San Romano, ma le sorti del conflitto vennero decise nella battaglia di Delebio nel tardo autunno del 1432, quando i milanesi travolsero le truppe della Serenissima. Il trattato di pace, firmato l’anno successivo, fu relativamente clemente, in quanto riconfermava lo status quo. Le ripetute sconfitte, tuttavia, minarono il prestigio di Venezia, dove il doge Francesco Foscari fu quasi costretto ad abdicare, e di Firenze, dove il popolo si ribellò costringendo Cosimo de Medici all’esilio. Il Monferrato, invece, divenne uno stato satellite del Ducato di Savoia.

Alfonso V d’Aragona
(Wikipedia)

Se a Nord si era raggiunto un equilibrio precario, le cupe vampe della guerra divamparono nuovamente al Sud, precisamente nel Regno di Napoli, alla morte di Giovanna II di Angiò che riaccese il vecchio conflitto tra Aragonesi ed Angioini. La defunta regina aveva nominato il Duca di Calabria Renato d’Angiò come suo erede, ma la mancanza dell’approvazione papale spinse Alfonso V di Aragona a far valere i propri diritti sbarcando con un esercito in Campania. Gli ex nemici di un tempo fecero fronte comune e così Milano, Venezia e Firenze si trovarono insieme a supportare il casato d’Angiò. A sostenere il peso maggiore di questo conflitto fu Genova che, impegnata in una lunga disputa per il controllo della Sardegna proprio con gli Aragonesi, temeva un rafforzamento dei propri rivali. Una battaglia navale al largo di Ponza si risolse in una catastrofica sconfitta per Alfonso che, insieme ai suoi fratelli, cadde nelle mani dei genovesi che, successivamente, lo consegnarono a Filippo Maria Visconti. Il Duca di Milano, probabilmente preoccupato per un consolidamento della presenza francese in Italia, liberò Alfonso ed i suoi fratelli senza chiedere alcun riscatto, riconoscendolo a tutti gli effetti come re di Napoli, ma si schierò al suo fianco abbandonando i suoi ex alleati. I genovesi, che nell’impresa avevano investito enormi risorse, non la presero molto bene: si ribellarono ai milanesi e, smarcandosi da ogni vincolo di tutela, si resero indipendenti a tutti gli effetti. Forte dell’appoggio visconteo, il re d’Aragona sbarcò nuovamente nel Regno di Napoli (1436).

Pieter Paul Ruben, La Battaglia di Anghiari. Copia dell’originale, andato perduto, opera di Leonardo
(Wikipedia)

Il voltafaccia del Visconti portò alla creazione di una nuova lega antiviscontea cui aderirono Firenze, Venezia, il Papato e anche Francesco Sforza che divenne intimo amico di Cosimo de Medici, rientrato nel frattempo nella città del giglio dove era tornato al governo. La nuova fase del conflitto si risolse in una serie di disastrose sconfitte per i milanesi che culminarono nel 1440 con la sconfitta di Soncino contro i veneziani e di Anghiari contro i fiorentini. Il Visconti, quindi, decise di imbonirsi lo Sforza promettendogli in moglie la figlia Bianca Maria in cambio della mediazione con Venezia. Nel 1441 venne firmata la pace di Cremona con la quale Milano riconosceva il dominio veneziano su Ravenna, quello fiorentino sul Casentino, l’indipendenza di Genova e la fine delle intromissioni lombarde in Toscana e Romagna. Nella stessa occasione venne celebrato lo sposalizio tra la figlia del Duca di Milano e lo Sforza, che così entrò a pieno titolo in linea di successione. Nello stesso anno, infine, Alfonso V schiacciò le ultime resistenze angioine: il dominio aragonese sul Meridione era ormai completo.

La morte senza eredi diretti di Filippo Maria Visconti (1447) getta il Ducato di Milano nel caos. Alcuni nobili locali e giuristi dell’università di Pavia proclamarono la nascita dell’Aurea Repubblica Ambrosiana, mentre la maggior parte delle città lombarde proclamò l’indipendenza, come Pavia, mentre Lodi e Piacenza si sottomisero a Venezia. I repubblicani si videro costretti a chiedere aiuto allo Sforza che nel giro di un anno ridusse all’obbedienza i centri ribelli e nel 1448 inflisse una devastante sconfitta ai veneziani nella battaglia di Caravaggio.  Qui, con un voltafaccia clamoroso, firmò un accordo con la Serenissima: i veneziani affidavano allo Sforza il comando della guerra in Lombardia in cambio del mantenimento del confine sull’Adda, garantendo al capitano di ventura l’appoggio di Venezia nella conquista di Milano. I repubblicani furono presi dal panico e, anticipando i tempi, chiesero aiuto ai francesi che inviarono un esercito di mercenari in loro soccorso.

Cosimo de Medici
(Wikipedia)

Tra alterne vicende e continui cambi di schieramento – decisamente troppi per essere raccontati su un blog – lo Sforza riuscì infine ad entrare nel capoluogo lombardo il 25 marzo 1450 e tra le acclamazioni della folla si proclamò nuovo Duca. Venezia nel frattempo non aveva abbandonato le sue mire espansionistiche in Lombardia e questo preoccupò enormemente Cosimo de Medici. Costui, oltre ad avere ottimi rapporti personali con lo Sforza, aveva consistenti interessi economici a Milano attraverso il Banco Medici. Forte dell’appoggio popolare – la Serenissima aveva infatti stretto accordi con gli odiatissimi senesi – Cosimo potè voltare le spalle agli ex alleati veneti per schierarsi con Milano. Con Venezia si schierarono il regno di Napoli, l’Imperatore Federico III d’Asburgo ed i Savoia. Nonostante la vittoria milanese di Ghedi (1453), l’esito del conflitto venne deciso da eventi lontani.

Il 9 maggio dello stesso anno, infatti, l’esercito turco guidato dal sultano Maometto II riuscì a conquistare Costantinopoli, ponendo di fatto fine al millenario Impero bizantino. L’evento ebbe un’eco enorme in tutto il Mediterraneo: i Turchi iniziarono a fare paura. I timori erano particolarmente forti a Venezia, che aveva possedimenti ed interessi commerciali tanto nella penisola balcanica, quanto nel Mediterraneo orientale. Particolarmente scosso fu anche Papa Niccolò V che tentò invano di organizzare una nuova crociata e, con maggiore fortuna, di sedare le animosità tra i vari stati italiani. Dal canto loro i sovrani italiani si resero conto che l’espansionismo ottomano era un pericolo concreto e che in queste condizioni proseguire in una lotta fratricida sarebbe stato un suicidio. Si aprirono così delle trattative che culminarono nella firma della pace di Lodi.

L’Italia nel 1494. I confini ricalcano quasi inalterati quelli stabiliti nel 1454.
(Wikipedia)

Il trattato prevedeva il riconoscimento di Francesco Sforza come Duca di Milano, di Alfonso V come Re di Napoli e del fiume Adda come confine naturale tra Milano e Venezia. Inoltre, la presenza di un potente nemico esterno, portò alla nascita della Lega Italica, una alleanza difensiva tra i vari stati italiani. Il trattato, prevedendo l’integrità territoriale di tutti i firmatari e l’appoggio militare in caso di aggressioni esterne, congelò di fatto la situazione della penisola, mantenendo la frammentazione politica. Se ciò impedì l’accentramento del potere nelle mani di un singolo sovrano e la conseguente nascita di uno stato nazionale, analogamente a quanto stava accadendo in Inghilterra, Francia e Spagna, la pace di Lodi regalò all’Italia un quarantennio di pace – turbato soltanto da pochi eventi a carattere locale – che fu alla base di quell’enorme sviluppo culturale passato alla Storia come Rinascimento.