Ormai consapevole dell’affievolirsi delle possibilità di salvare la città-fortezza, Kusmanek decise di propria iniziativa di intraprendere una serie di azioni volte a danneggiare il più possibile le fortificazioni in caso di sfondamento russo. Fu così che a partire dal 5 marzo i genieri della guarnigione iniziarono a stipare i forti di esplosivi e a minare tutte le infrastrutture di importanza strategica, in modo da impedire ai russi di servirsene dopo la resa. L’idea della resa – e conseguentemente della prigionia in Russia – era ormai stata tacitamente accettata da tutti a Przemysl, come emerge del diario del dottor Thomann che, il 5 marzo, scriveva di essere pronto ad un viaggio di sola andata a Tomsk, Irkutsk o Tashkent, tanto da avere già pronto il necessario.
Nonostante l’assenza dell’artiglieria pesante, rimasta impantanata lungo la strada da Sebastopoli al fronte, il 14 marzo i russi tentarono un assalto limitato nel settore settentrionale del perimetro difensivo, riuscendo ad occupare diverse posizioni esterne. Subito i difensori iniziarono a radunare truppe per un contrattacco, ma questo venne abortito sul nascere: la scarsità di cavalli avrebbe reso impossibile lo spostamento di un numero sufficiente di cannoni, costringendo così la fanteria ad andare all’assalto senza alcun tipo di appoggio.
Due giorni dopo, il comandante della guarnigione informò il comando supremo e lo stesso Kaiser Francesco Giuseppe della sua intenzione di tentare uno sfondamento verso est, in modo da tentare un ricongiungimento con le forze di Pflanzer-Baltin in Bukovina. L’idea era quella di sfondare le linee nemiche con un attacco deciso e una volta raggiunti i depositi russi di Mostys’ka e Sadowa Wisznia – rispettivamente da una quindicina e ad una ventina di chilometri da Przemysl – lanciare in battaglia anche le truppe rimanenti. Si trattava di un piano dettato da qualcosa di ancora più profondo della disperazione: una marcia di oltre cento chilometri, in condizioni climatiche sfavorevoli, su strade dissestate, con uomini malnutriti ed in preda allo sconforto, ma agli occhi di Kusmanek preferibile all’avventurarsi attraverso i Carpazi innevati.
Kusmanek non sapeva, però, che i russi non solo potevano contare sulle informazioni raccolte dai contadini della zona, ma erano anche riusciti a violare il codice con cui gli austriaci proteggevano le loro comunicazioni radio. Questo permise a Selivanov di prendere le dovute contromisure con largo anticipo, tanto che i punti di raccolta delle truppe austriache si ritrovarono sotto il tiro di diverse batterie d’artiglieria accuratamente disposte, mentre nella notte tra 18 e 19 marzo i battaglioni si ammassavano pronti a partire all’assalto. Nonostante tutto questo, i riservisti della 23° divisione Honvéd riuscirono a penetrare le linee nemiche per un paio di chilometri, prima di essere investiti sul fianco dal contrattacco portato avanti da una divisione di cavalleria russa. Gli austriaci furono costretti a ritirarsi nuovamente in città, mentre i magiari lasciarono sul campo due terzi dei propri effettivi.
Galvanizzato dal successo e contando sulla prostrazione dell’avversario, Selivanov lanciò una serie di attacchi infruttuosi nell’arco dei due giorni successivi, spingendo gli assediati ad accelerare i preparativi della capitolazione. I genieri collegarono i detonatori alle cariche esplosive, mentre pennacchi di fumo che si levano verso il cielo testimoniarono la distruzione sistematica del denaro contante e dei documenti militari. Gli ultimi cavalli rimasti vennero macellati ed il 21 marzo i cannoni della fortezza esplosero gli ultimi colpi prima di essere danneggiati in maniera irreparabile dai loro serventi.
Due ore prima dell’alba del 22 marzo, due ufficiali austriaci si presentarono davanti alle linee russe, sventolando bandiera bianca, per parlamentare la resa. Selivanov, evidentemente non troppo contento di essere stato svegliato così presto e non aduso alla sottile arte della diplomazia, li fece arrestare e solo l’intervento diretto dello zar, via telefono, riuscì a sbloccare la situazione. Al sorgere del sole, mentre le trattative erano ancora in corso, una serie di fragorose esplosioni rese inutilizzabile la maggior parte delle opere fortificate maggiori, segnando di fatto la fine dell’assedio: la guarnigione di Przemysl si arrese dopo quasi sei mesi consegnando ai russi un bottino di oltre centomila prigionieri, tra cui nove generali e altri duemilaseicento alti ufficiali.
La notizia della resa si diffuse rapidamente in tutto il mondo, minando in modo serio il prestigio ed il morale della Duplice Monarchia e delle sue forze armate. Nei primi mesi di guerra l’Austria-Ungheria aveva perso sul solo fronte galiziano oltre un milione di uomini tra morti, feriti e dispersi. Per completare questa macabra contabilità, vanno poi aggiunte le perdite sul fronte balcanico, numericamente inferiori ma comunque pesanti, dove la piccola Serbia aveva saputo resistere caparbiamente.
Ma quale fu la reale portata dell’assedio di Przemysl? Come e quanto influì questo episodio sull’andamento della guerra? Innanzitutto bisogna chiedersi cosa spinse Conrad a riporre così tante speranze su di una fortezza che nel 1914 era, come abbiamo visto nella prima parte, già obsoleta, tanto più che nella storia recente in nessun assedio – da Sebastopoli durante la guerra di Crimea a Port Arthur durante la guerra russo-giapponese – i difensori avevano giocato un ruolo risolutivo nell’andamento di un conflitto. Considerando che Conrad era un entusiasta sostenitore del ruolo offensivo delle truppe sul campo, la decisione di tenere a tutti i costi la città sul fiume San risulta incomprensibile, per cui possiamo ipotizzare che si sia trattato di una questione di onore/principio, non troppo dissimile dall’ossessione di Hitler per la conquista di Stalingrado nel 1942.
Le ripetute offensive sui Carpazi causarono perdite notevolmente superiori al numero di prigionieri catturati dai russi dopo la resa della città-fortezza, senza portare alcun tipo di beneficio agli assediati. Anche in questo caso la responsabilità è da ascrivere a Conrad e alla sua ossessione per arrivare a Przemysl seguendo la strada più breve. Le offensive carpatiche furono pianificate in modo superficiale ed eseguite in modo ancora peggiore, mandando le truppe al massacro in inutili assalti frontali attraverso passaggi obbligati facilmente difendibili dai russi. La conformazione del terreno, inoltre, rendeva impossibile alle diverse unità di supportarsi a vicenda, riducendo le offensive ad una serie di piccoli attacchi locali facilmente rintuzzabili. Non è un caso che l’unico successo austriaco avvenne più ad est, in Bukovina, dove gli ampi spazi pianeggianti si prestavano meglio ai movimenti di un ampio numero di truppe. Kusmanek lo aveva intuito, come testimonia il piano disperato elaborato poco prima della resa, Conrad era semplicemente troppo ottuso per farlo.
D’altro canto è innegabile che le operazioni di assedio tennero impegnate per diversi mesi una intera armata russa che, sebbene composta di unità di riserva, avrebbe potuto avere un ruolo determinante altrove. Penso, ad esempio, al tentativo di sfondamento verso Cracovia di dicembre 1914 culminato nella battaglia di Limanowa in cui gli austriaci riuscirono, sebbene in leggera inferiorità numerica, a respingere i russi, oppure ai contrattacchi di Brusilov sui Carpazi dove dopo le fallimentari offensive di gennaio e febbraio le linee austriache erano tenute da una manciata di uomini demoralizzati e flagellati dal gelo. Non è un caso che dopo la resa, l’XI armata russa venne smembrata e parte delle truppe inviata a nord per contenere la pressione tedesca, mentre il resto degli reparti venne spedito proprio in Bukovina per ricacciare indietro le formazioni di Pflanzer-Baltin, segno che perfino nella STAVKA c’erano menti più aperte di quelle dell’AOK austriaco. Mettendo da parte le congetture, certo è che l’assedio costò ai russi circa centomila uomini, di cui una metà nel corso gli attacchi insensati di Dimitriev nel settembre 1914.
La vittoria russa fu comunque effimera, dato che nel maggio dello stesso anno un poderoso attacco austro-tedesco, l’offensiva di Tarnow-Gorlice, riuscì a sfondare le linee zariste causando una reazione a catena che portò al crollo dell’intera linea del fronte. Con la Grande Ritirata, la Russia fu costretta ad abbandonare l’intero saliente polacco, compresa Varsavia, parte della Lituania e gran parte della Galizia austriaca. Anche Przemysl fu interessata da un nuovo assedio, il terzo, ma la sistematica distruzione delle fortificazioni ordinata da Kusmanek impedì ai pochi reparti russi di stanza in città di resistere per molto tempo.
BIBLIOGRAFIA
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P. Buttar, Collision of Empires. The War on the Eastern Front in 1914, Oxford, Osprey Publishing, 2014
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N. Stone, The Eastern Front 1914-1917, London, Penguin Books, 1998