Letture del mese – Marzo ’21 (Sylvain Tesson – La Pantera Delle Nevi)

Ormai è più di un anno e mezzo che, anche a causa delle situazione sanitaria, non riesco a viaggiare. Si tratta di un lasso di tempo veramente lungo, specie per chi, come il sottoscritto, è abituato a passare le proprie ferie a zonzo per l’Europa e non solo. Fortunatamente, a proteggermi da quelle che potrebbero essere delle vere e proprie crisi di astinenza, ci sono i libri. Attraverso le loro pagine, infatti, mi è possibile abbandonare questo perenne presente statico e volare sulle ali dell’immaginazione fino all’altro capo del mondo, in luoghi che ho sempre desiderato visitare.

SYLVAIN TESSON – LA PANTERA DELLE NEVI 

Di Sylvain Tesson (1972), scrittore e viaggiatore francese, ammetto di ammirare/invidiare diverse cose. Lo ammiro per le sue imprese sopra le righe, come l’aver attraversato in lungo e in largo l’Asia a piedi, in bicicletta e a cavallo, oppure l’aver commemorato, in Beresina, il bicentenario della ritirata della Grande Armata napoleonica dalla Russia ripercorrendone il percorso in pieno inverno a bordo di un sidecar sovietico. Ne invidio, invece, la capacità di riuscire a fondere disincanto, sottile ironia e capacità riflessiva in uno stile tanto personale quanto graffiante, cosa che lo rende uno dei miei autori francesi contemporanei preferiti.

Nella sua ultima fatica letteraria, La Pantera Delle Nevi, lo vedremo accompagnare il fotografo naturalista Vincent Munier (1976) in alcune delle zone più remote e inaccessibili dell’Altopiano del Tibet, alla ricerca di uno dei suoi abitanti più sfuggenti e misteriosi, Panthera uncia, ossia il leopardo delle nevi. Di carattere schivo e solitario, questo felino, che campeggia in tutta la sua maestosa bellezza sulla copertina del volume, abita gole e versanti montani di alcune delle aree montuose più inospitali dell’intera Asia centrale: dall’Hindu Kush ai monti Kunlun, passando per gli Altai ed i pendii meridionali dell’Himalaya. Spietatamente cacciato dagli umani, che in lui vedevano – e in realtà spesso continuano a vedere – una minaccia per il proprio bestiame, il leopardo delle nevi ha visto la sua popolazione ridursi a poche migliaia di esemplari, costretti a fronteggiare una crescente pressione antropica sul proprio habitat.

La fotografia, come ben sa chiunque abbia provato a cimentarvisi con un po’ di impegno, è una attività che richiede una discreta dose di tempo e soprattutto di pazienza. Ciò è particolarmente vero per i naturalisti che, oltre a doversi preoccupare della luce e delle impostazioni della propria attrezzatura, devono fare i conti con l’imprevedibilità dei loro soggetti principali. Non è detto, infatti, che le lunghe ore di attesa nel fango o nel sottobosco siano ricompensate da uno scatto decente, ammesso che la fiera in questione abbia la cortesia di farsi inquadrare dal mirino della macchina fotografica, a mio avviso l’unico in cui dovrebbe entrare un essere vivente. Immaginate, quindi, cosa può voler dire cercare di fotografare un leopardo che, oltre ad essere raro, è in grado di mimetizzarsi alla perfezione con l’ambiente circostante e di sfuggire anche all’occhio più attento.

Per Tesson le lunghe ore di appostamento al gelo nei pressi delle sorgenti del Mekong, ad una altitudine media che supera i quattromila metri sul livello del mare e con temperature decine di gradi sotto allo zero, diventano occasione per dedicarsi a lunghe e articolate riflessioni. In quella che sembra a tutti gli effetti una particolare forma di ascesi, l’autore si interroga sul rapporto tra mondo e uomo e sulla capacità di quest’ultimo di alterare, spesso in modo irreversibile, l’ambiente. Persino sul tetto del mondo gli umani sono stati in grado di lasciare una cicatrice di acciaio, la ferrovia Lhasa-Golmund, che taglia il plateau tibetano da nord a sud. In un mondo dominato da una specie in grado di intervenire in maniera invasiva ovunque, persino negli angoli più remoti del globo, quale è il futuro per le altre specie? Potranno continuare a sopravvivere in habitat sempre più ristretti, con popolazioni via via sempre più ridotte, oppure la loro scomparsa è un prezzo accettabile per continuare a mantenere il nostro modello di sviluppo? Quale può essere infine il futuro per l’uomo in un mondo sempre più snaturato? Si tratta di domande importanti e che meriterebbero risposte concrete, soprattutto visto il crescente emergere di nuove zoonosi, compresa quella che ha causato l’attuale pandemia.

Meno ironico e più riflessivo di altri libri scritti da Tesson, La Pantera Delle Nevi è un volume che difficilmente lascia indifferenti. Personalmente l’ho apprezzato molto perchè, nonostante la mole di considerazioni, rimane un testo tutto sommato agile, in grado di offrire uno spaccato interessante del lavoro del fotografo naturalista e di condurre il lettore in luoghi ai quali non avrà mai accesso, descrivendoli con rara intensità.

Letture del mese – Settembre ’20 (Stanisław Lem – L’Invincibile)

Nonostante le fatiche della vendemmia anche questo mese sono riuscito a tenere fede al mio impegno di scrivere i miei due post mensili. Leviamo quindi le ancore e salpiamo alla volte delle vastità interplanetarie con uno dei più grandi maestri della fantascienza.

STANISLAW LEM – L’INVINCIBILE

La fantascienza è uno dei generi letterari più bistrattati, spesso considerata come lettura per ragazzini dalla fervida immaginazione, ma non certo adatta ad un pubblico adulto. Il motivo di questa discriminazione è indubbiamente da ricercarsi nella quantità spropositata di pubblicazioni di scarso valore, spesso con trame traballanti ed errori marchiani a livello scientifico, che satura il mercato e mette in ombra le opere meglio realizzate.

Anche in questo ambito vi sono tuttavia autori di primissimo livello, basti pensare ad Isaac Asimov oppure a Philip K. Dick che sono arcinoti e saldamente posizionati nell’Olimpo della letteratura mondiale. Vi sono poi figure meno conosciute, ma non per questo qualitativamente inferiori e qui non posso non citare l’autore di questo mese, il mio prediletto Stanisław Lem (1921-2006). Nato a Leopoli – e qui lo spettro della Galizia mi perseguita – dopo la laurea in medicina inizia ad interessarsi alle scienze biologiche e cibernetiche, scontrandosi ben presto con l’establishment sovietico a causa delle sue posizione in contrasto con quelle del discusso Trofim Lysenko, all’epoca a capo dell’Accademia pansovietica delle scienze agrarie. Autore prolifico, raggiunge la celebrità nel 1961 con Solaris, romanzo di cui il grande Andrej Tarkovskij cura l’adattamento cinematografico – il film del 2002 con George Clooney ne è il remake – venendo premiato a Cannes nel 1972.

Tratto distintivo della scrittura di Lem è la capacità di coniugare la speculazione filosofica ed il rigore scientifico a situazioni ed ambientazioni di pura fantasia, creando opere di grande spessore. L’Invincibile, così come il già citato Solaris, ne è un perfetto esempio. L’Invincibile è un incrociatore galattico, inviato sul pianeta Regis III nella costellazione della Lira con il compito di rintracciare la propria nave gemella, il Condor, ed il suo equipaggio. Agli uomini dell’Invincibile il pianeta appare fin da subito come una brulla distesa sabbiosa contornata da oceani, ma ben presto diverse scoperte aprono una serie di inquietanti interrogativi. Le acque di Regis III ospitano infatti forme di vita del tutto simili ai pesci terrestri, mentre sulla terraferma vengono scoperte delle misteriose formazioni che sembrano essere le rovine di una città, sebbene non assomiglino a nulla di conosciuto dall’uomo. In tutto questo il Condor ed il suo equipaggio sembrano essere spariti: quale mistero nasconde Regis III?

Nonostante sia stato scritto nel lontano 1964, L’Invincibile risulta essere incredibilmente attuale anche a quasi sessanta anni di distanza. Anzi, visto l’enorme progredire dell’informatica, dell’automazione e delle nanotecnologie forse è più attuale ora che non al momento della sua pubblicazione. Il dibattito etico intorno alla scienza e al progresso scientifico, al rapporto tra i rischi ed i benefici che questo comporta e ai limiti che questo dovrebbe avere, ammesso che ne debba avere, ormai occupa una fetta rilevante del discorso filosofico contemporaneo. Vi è poi la questione dell’uomo e del suo ruolo all’interno del mondo/cosmo, questione che nel romanzo di Lem è incarnata alla perfezione dal dilemma interiore che lacera il protagonista, l’ufficiale Rohan. Ecco, questo dovrebbe essere la fantascienza: un modo per interrogare noi stessi, facendoci domande a volte scomode e dandoci risposte non sempre confortanti; in questo senso l’opera dello scrittore polacco è un capolavoro tout court.