L’Olocausto è senza ombra di dubbio una delle pagine più buie della nostra storia recente. Il sistematico sterminio degli ebrei europei fu certamente ideato e programmato con precisione teutonica dal regime nazista, ma fu reso possibile con una così vasta portata soltanto grazie alla complicità e all’adesione — spesso entusiastica — di ampi strati della popolazione del Vecchio Continente. Gli italiani non furono da meno. Tuttavia, se da un lato ricordiamo figure come Giorgio Perlasca e Carlo Angela, entrambi insigniti del titolo di Giusti tra le nazioni, dall’altro evitiamo attentamente di menzionare il coinvolgimento del regime fascista — e non solo — nella Shoah, in un processo di rimozione del tutto analogo a quello relativo ai crimini di guerra commessi del Regio Esercito.
Simon Levi Sullam (1974) è professore associato di storia contemporanea presso l’Università Ca’ Foscari di Venezia. Intento dell’autore in I Carnefici Italiani è quello di mettere a nudo le responsabilità italiane nel genocidio ebraico in Italia. Cosa si intende, però, per responsabilità? Vi è senza dubbio la responsabilità materiale degli esecutori degli arresti, ma gli ebrei non sarebbero stati identificati come tali senza il lavoro degli impiegati comunali nell’anagrafe razzista. Allo stesso modo si possono considerare responsabili tutti gli anelli che trasmisero gli ordini di arresto lungo la catena di comando, tutti coloro che sorvegliarono gli ebrei rastrellati, coloro che guidarono gli autocarri ed i treni fino a Fossoli e da lì ai campi di sterminio, fino ad arrivare alla categoria più disgustosa: quella dei delatori, che spesso e volentieri si appropriavano dei beni dei deportati. Stiamo parlando, quindi, di migliaia di soggetti, pur con diversi gradi di coinvolgimento, implicati nell’Olocausto tra il 1943 ed il 1945.
Vi è poi la questione dell’antisemitismo di Stato e del suo progressivo inasprimento, a partire dalle leggi razziali del 1938 sino alle deliranti posizioni genocide fatte proprie dalle istituzioni e dall’intellighenzia della Repubblica Sociale. Elaborate da “ideologhi” come Giovanni Preziosi, già curatore dell’edizione italiana dei Protocolli dei Savi Anziani di Sion, queste erano veicolate tanto dalla stampa di regime, quanto da testate nazionali come “La Stampa” o il “Corriere della Sera”, e addirittura implementate nella formazione ideologica dei quadri della Guardia Nazionale Repubblicana, come testimoniato da evidenze archivistiche.
In ciascun capitolo de I Carnefici Italiani, Sullam cerca di sviscerare la questione, ponendo dinanzi al lettore fatti inoppugnabili e ben documentati, tanto da far sorgere spontanea una domanda: come è stato possibile dimenticare tutto ciò? Come ben sappiamo in Italia non si svolse mai un processo analogo a quello tenutosi a Norimberga, ma tutta una serie di procedimenti individuali presieduti da una magistratura che per prima non era stata defascistizzata. La vicenda professionale di Carlo Alliney è paradigmatica: capo di gabinetto all’Ispettorato per la razza e consulente del governo per la legislazione razziale della RSI, nel dopoguerra fu procuratore generale a Palermo concludendo la sua carriera come giudice di Cassazione. Anche nei casi in cui i tribunali emisero un verdetto di colpevolezza, l’amnistia Togliatti cancellò dall’oggi al domani circa diecimila condanne, comprese quelle di gerarchi come Federzoni e Bottai. Mancando una verità processuale, fu relativamente semplice spostare l’attenzione dalla politica antisemita del fascismo verso episodi, opportunamente decontestualizzati ed ingigantiti, in cui le Forze Armate offrirono protezione agli ebrei in Francia e nei Balcani.
Quella di Sullam è un’opera preziosa, che dovrebbe a mio avviso diventare testo scolastico in quinta superiore. Con un linguaggio semplice, unito al rigore metodologico dello storico di mestiere, l’autore contribuisce a minare le fondamenta del mito del “bravo italiano”, smentendo anche quella retorica defeliciana che ha sempre voluto porre il fascismo fuori dalle responsabilità dell’Olocausto: che piaccia o meno, dovremmo iniziare a rivalutare in senso critico il nostro passato e volumi come questo sono come acqua nel deserto.