(Nella foto militari italiani fucilano civili nel villaggio di Dane, 31.07.42. Fonte: D. Mattiussi, L. Patat, M. Puppini, Una lunga notte 1942-1945. La collezione Erminio Delfabro, Comune di Gradisca d’Isonzo e Centro isontino di ricerca e documentazione storica e sociale “Leopoldo Gasparini”, Gorizia novembre 2001.)
Il seguente testo è la rielaborazione di un mio scritto realizzato ai tempi dell’università sulla tematica dei crimini di guerra italiani nel corso del secondo conflitto mondiale e dell’impunità di cui hanno goduto i loro perpetratori. Per snellire la fruizione ho preferito dividere il lavoro in tre post.
La visione auto assolutoria e indulgente di una larga fetta della storiografia ufficiale italiana, diretta emanazione di una coscienza collettiva da sempre indirizzata in questa direzione, ha offerto terreno fertile a tentativi più o meno riusciti di mistificazione della realtà storica, soprattutto per quanto riguarda il periodo resistenziale e quello immediatamente successivo. Quali sono stati i meccanismi di rimozione di Stato e le responsabilità politiche che hanno portato a questa situazione?
Una fortissima responsabilità appartiene alla sinistra italiana (nella fattispecie il PCI) che ha sempre preferito mettere in luce i meriti dell’Italia antifascista, arrivando a creare dei veri e propri “miti”, piuttosto che analizzare criticamente certi passaggi della nostra Storia recente e sottolineare le colpe del regime fascista. Esaltando la brutalità dell’occupazione nazista, per esempio, è stato possibile gettare le basi per il mito dei cosiddetti “ragazzi di Salò”, la cui unica colpa, secondo la vulgata della destra più o meno estrema, fu di combattere contro l’invasore angloamericano invece di affrontare l’occupante tedesco. Dimenticandosi, però, che la RSI non era altro che uno stato fantoccio sottoposto al controllo germanico, complice nella deportazione e nello sterminio degli ebrei, e che i comandi nazisti assegnavano le formazioni repubblichine alla lotta antipartigiana, tanto che queste si macchiarono di crimini di guerra al pari della Wehrmacht o delle Waffen SS.
Sempre al PCI possiamo ascrivere la responsabilità per l’epurazione puramente di facciata portata avanti dagli organi post-insurrezionali, tanto che in alcuni casi i giudici che presiedevano le commissioni di epurazione erano gravemente compromessi col regime fascista, come nel caso di Lorenzo Maroni. Fatto questo che può spiegare il numero piuttosto basso di condanne e la loro relativa clemenza. In ogni caso i pochi che furono condannati poterono godere nel 1946 della famigerata amnistia Togliatti che graziò anche criminali del calibro di Graziani, Roatta e Borghese.
A quanto detto finora possiamo aggiungere la mancanza di una verità giudiziaria che, forse più di altri fattori, ha contribuito all’emergere di un’immagine distorta sul Ventennio fascista e i crimini di guerra italiani, dando vita ad un vero e proprio fenomeno di rimozione. In questo modo è stato possibile spacciare degli internati jugoslavi in un campo italiano per prigionieri di un lager tedesco1 o, come nell’immagine che accompagna questo post, civili jugoslavi fucilati dal Regio Esercito sono diventati civili italiani fucilati da partigiani titini (sic!), senza dimenticare che nel 1990 l’allora Presidente della Repubblica Cossiga potè affermare liberamente che << noi italiani non abbiamo conosciuto gli orrori dei campi di concentramento2>>. E i campi di Soluch, Arbe e Gonars3? Completamente rimossi dalla coscienza collettiva, condannati all’oblio, in nome del mito del “bono italiano”, così come i villaggi sloveni bruciati dal Regio Esercito, villaggi che hanno la stessa dignità delle nostre Marzabotto, Sant’Anna o Boves, ma che abbiamo vergognosamente dimenticato.
Anzi, il campo di Gonars, l’unico rimasto in territorio italiano dei tre citati, è un esempio di rimozione anche fisica, dato che è stato completamente demolito, privato del riconoscimento sociale di luogo della memoria, a differenze della “nazista” risiera di San Sabba. Allo stesso modo sono stati demoliti i campi di Renicci, Ferramonti o il complesso di Ventotene, dove, secondo l’ex Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, venivano mandati in vacanza gli oppositori durante il ventennio fascista. Come è stato possibile che la Norimberga italiana non vedesse mai la luce e che criminali come Roatta e Priebke restassero impuniti per lunghissimo tempo o, addirittura, per sempre?
Questa è solo una breve introduzione alla problematica dei crimini di guerra italiani. Di seguito i link alla seconda e alla terza parte che saranno pubblicate nei prossimi giorni.
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Seconda parte. Meccanismi di rimozione di Stato: l’armadio della vergogna.
Terza parte. I criminali di guerra italiani
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Fonti e note:
1C. S Capogreco, I campi del Duce, Einaudi, Torino 2006 p.7
2Ivi citato p.8
3Soluch, uno dei sei campi coloniali italiani istituiti in Cirenaica dal regime fascista per sedare la ribellione Senussa negli anni dal 1930 al 1933. Su circa 100.000 internati complessivamente nei vari campi ne tornarono a casa meno di 60.000.