Filippo II e l’ascesa della Macedonia (parte 2)

Filippo_II_Macedonia_medaglione

Filippo II in un medaglione di epoca romana. Fonte Wikipedia

Come visto nell’ultimo articolo, la pace di Filocrate, così chiamata dal nome del politico ateniese che l’aveva proposta all’assemblea cittadina, oltre a sancire la fine delle ostilità tra Atene e Macedonia, poneva Filippo II in una posizione di forza. Il sovrano macedone, infatti, si ritrovava con un regno ingrandito e rafforzato, era stato nominato arconte a vita della Lega tessala ed aveva occupato i due seggi dei Focesi all’interno dell’Anfizionia delfica, espandendo così la propria sfera d’influenza sino al cuore della Grecia centrale.La concordia, tuttavia, poggiava su presupposti estremamente precari e non sarebbe durata a lungo.

Già a pochi anni di distanza dalla firma del trattato, il partito anti-macedone ateniese, guidato da Demostene, aveva rialzato la testa. Foraggiato dall’oro persiano, l’oratore componeva alcuni dei suoi discorsi più famosi, le cosiddette Filippiche. Nelle sue orazioni il politico ateniese attaccava il partito filo-macedone, accusandolo di non fare gli interessi della città, ed esortava i Greci a non sottomettersi a quello che ai suoi occhi altro non era che un barbaro. Se Artaserse cercava di minare la stabilità dell’Ellade con il proprio oro, dal canto suo nella mente di Filippo iniziava a delinearsi il progetto di una guerra proprio contro la Persia. Questo però non impedì la stipula di un patto di non aggressione tra le due potenze (343 a.C.), che permise ai Persiani di riconquistare l’Egitto.

Quanto c’era di vero nelle affermazioni di Demostene? Filippo II era davvero un barbaro oppure poteva essere considerato greco a tutti gli effetti? Sappiamo che nell’estate del 356 a.C. uno dei cavalli del sovrano macedone vinse la gara equestre in occasione dei giochi olimpici, evento a cui avevano diritto a partecipare solo gli Elleni. Nel tentativo di ottenere ulteriore legittimazione, nel corso degli anni la corte macedone si era trasformata in un centro culturale di primo piano, con la presenza di artisti di grido come Lisippo o del grande filosofo Aristotele, incaricato dell’educazione del principe Alessandro e dei rampolli della nobiltà. Vi era infine la questione delle origini della dinastia macedone: secondo il mito fondativo del regno, infatti, il primo mitico re di Macedonia sarebbe stato tale Carano, figlio del re di Argo, dal quale sarebbe poi disceso Perdicca I, primo sovrano storicamente accertato da Erodoto. Anche dal punto di vista linguistico, l’antica lingua macedone doveva essere per forza un dialetto del greco antico, dato che nessuna fonte menziona problemi di intelligibilità. Dobbiamo quindi concludere che Filippo fosse un Greco fatto e finito, forse giusto un po’ più rozzo della media.

Chersoneso_tracico_dallo_spazio

Il Chersoneso visto dallo spazio. Fonte Wikipedia

Tra il 341 ed il 340 a.C. Filippo condusse una serie di spedizioni militari in Tracia, trasformando di fatto la regione in un protettorato macedone. L’espansione macedone nella zona causò un certo malcontento ad Atene, dove nel frattempo il partito della guerra aveva preso il sopravvento. Pomo della discordia era il Chersoneso tracico, corrispondente all’attuale penisola di Gallipoli nella Turchia europea, considerato di importanza vitale per la città attica. Il controllo della penisola, infatti, permetteva di regolare il traffico navale attraverso lo stretto dei Dardanelli, attraverso il quale passava la rotta che riforniva Atene del grano proveniente dalla Scizia, l’attuale Ucraina.

Nel tentativo di ricondurre gli Ateniesi alla ragione, il re macedone attuò un duplice approccio. Dopo essere partito col proprio esercito alla volta del Chersoneso, inviò una accorata lettera di rimostranze all’assemblea cittadina di Atene. Il tentativo diplomatico si risolse in un completo fallimento, dato che i destinatari della missiva decisero di considerarla come una dichiarazione di guerra. Affidata la reggenza al figlio Alessandro, Filippo pose sotto assedio le città di Perinto e Bisanzio pur senza riuscire ad espugnarle. La guerra, che sembrava essere giunta ad un punto morto, fu improvvisamente sbloccata da un evento apparentemente secondario.

Nel 339 a.C. la piccola città di Anfissa venne accusata di aver occupato a scopo agricolo i terreni sacri del santuario di Delfi. In quanto presidente dell’Anfizionia delfica, il re di Macedonia aveva il diritto di intervenire con il proprio esercito per dirimere la questione e Filippo decise di sfruttare quella che passò alla storia come guerra di Anfissa o quarta guerra sacra per muovere le sue truppe nel cuore della Grecia centrale. Mentre ad Atene si diffondeva il panico, Demostene tentò con scarso successo di costituire una nuova lega difensiva: al suo appello risposero soltanto alcuni stati minori e Tebe, convinta soltanto dall’impegno da parte ateniese di rinunciare al comando e di coprire i due terzi delle spese.

battaglia_di_Cheronea

Schema della battaglia di Cheronea. Fonte Wikipedia

I due eserciti si affrontarono il 2 agosto 338 a.C. nella piana di Cheronea, in Beozia. Sulla carta l’esercito alleato aveva un certo vantaggio numerico — circa 35.000 fanti contro 30.000 — ma i Macedoni avevano dalla loro l’esperienza dei veterani e un addestramento di tipo professionale. Filippo dispose la falange in linea obliqua di fronte alle truppe ateniesi, mentre Alessandro, qui al suo battesimo sul campo, al comando della cavalleria andò ad occupare lo spazio di fronte ai Tebani. Gli Ateniesi, coraggiosi ma poco disciplinati, caricarono la fanteria macedone andando a scontrarsi contro il muro delle sarisse. I falangiti inscenarono quindi un finto arretramento, allo scopo di spingere gli avversari ad allungare il proprio schieramento, nella speranza di aprire un varco attraverso cui lanciare la cavalleria. Dopo un lasso di tempo apparentemente interminabile, Alessandro vide una apertura e si lanciò al galoppo in testa ad una formazione a cuneo. Il centro alleato, ormai troppo sottile, venne travolto, lasciando il Battaglione sacro ed il fianco dell’esercito beota alla mercé dei cavalieri. Ad una manciata di chilometri di distanza, la falange invertì il senso di marcia sottoponendo gli opliti ateniesi ad una pressione crescente, fino a causarne la rotta. La battaglia si concluse con una vittoria totale dell’esercito macedone, mentre Tebe aveva perso le sue truppe scelte e ad Atene si spense definitivamente ogni bellicosità residua.

Nonostante la vittoria totale sul campo, Filippo impose agli sconfitti delle condizioni relativamente miti. Tebe perse ogni influenza residua sulla Beozia, mentre Atene dovette rinunciare alla propria influenza sul Chersoneso e fu costretta a sciogliere la propria lega navale, mantenendo il controllo soltanto su Delo e poche altre isole. Con una breve spedizione nel Peloponneso, il re macedone ricondusse alla ragione anche Sparta, unica polis che ancora gli si opponeva, riducendone il territorio all’estensione che aveva nel VI secolo.

Forte della propria egemonia sull’Ellade, nei primi mesi del 337 a.C. Filippo convocò a Corinto un congresso a cui parteciparono tutti gli stati greci con l’eccezione di Sparta. Qui si decise di costituire una lega panellenica, detta appunto lega di Corinto, con lo scopo dichiarato di muovere guerra alla Persia, che dopo la morte di Artaserse III Oco era in preda ad una profonda crisi dinastica. Il re macedone venne nominato suo hegemon, capo supremo, e strategos autokrator, comandante in capo, del futuro esercito panellenico. La grande spedizione fu pianificata per la primavera del 335, ma nel frattempo il sovrano decise di inviare una avanguardia in Anatolia al comando del suo migliore generale, Parmenione.

Macedonia_nel_336

La penisola greca nel 336 a.C. Opera di Diablos86, CC BY-SA 3.0, via Wikimedia Commons

Filippo era al momento l’uomo più potente dell’intero mondo greco e la sua ascesa sembrava inarrestabile, eppure da un momento all’altro tutto iniziò ad andare a rotoli. Il giro di boa fu il suo matrimonio con una nobile di nome Cleopatra, nipote di uno dei suoi uomini di fiducia, Attalo. Il re si era sposato numerose volte nel corso degli anni, lasciando però ad Olimpiade il titolo di prima moglie. Cleopatra, invece, fu invitata a trasferirsi nel palazzo, cosa mai accaduta in precedenza. Le fonti antiche, poi, ci raccontano di come la situazione sia degenerata durante il banchetto nuziale. In preda ai fumi dell’alcool pare che Attalo abbia apostrofato Alessandro dandogli del bastardo. Alla reazione rabbiosa del figlio, Filippo reagì brandendo la spada e collassando poco dopo a causa del gran bere. Il principe, quindi, prese con sé la madre e, dopo averla condotta in Epiro, si ritirò in Peonia con alcuni compagni.

Questo è quanto ci viene raccontato dalle fonti antiche che, come ben sappiamo, vanno prese con le pinze. Plutarco infatti racconta che Filippo fosse follemente innamorato di Cleopatra, ma più realisticamente il nuovo matrimonio andrebbe considerato come una sorta di assicurazione. La spedizione in Persia metteva in pericolo sia la vita del re, sia quella di Alessandro, all’epoca ancora celibe e senza figli: per garantire una continuità dinastica occorreva quindi un secondo ereda da inserire in linea di successione.

Appare inoltre molto improbabile che Attalo potesse rivolgersi in modo così offensivo al figlio del re senza andare incontro a gravi conseguenze. È quindi plausibile che i rapporti tra padre e figlio si fossero raffreddati dopo la battaglia di Cheronea, in quanto ad Alessandro era andato il maggior credito per la vittoria, nonostante il piano vincente fosse stato ideato da Filippo. Indipendentemente dalle cause, la famiglia regnante si trovò alle prese con una frattura talmente profonda da sembrare insanabile.

L’occasione per riconciliarsi fu offerta da un nuovo matrimonio. Questa volta a convolare a giuste nozze furono la sorella di Alessandro, Cleopatra, ed il fratello di Olimpiade, Alessandro d’Epiro. Filippo aveva previsto una cerimonia sontuosa, con invitati provenienti da tutto il mondo greco, da tenersi ad Ege, l’antica capitale macedone, nell’ottobre del 336. Il re tuttavia non poteva sapere che su quel lussuoso palcoscenico sarebbe andata in scena la sua morte: al suo ingresso nel teatro cittadino venne infatti colpito a morte da un paggio, Pausania. Le solite fonti classiche ci dicono che il giovane era stato violentato da Attalo e dai suoi uomini e che si fosse rivolto a Filippo in cerca di giustizia, ottenendo in cambio soltanto un maldestro tentativo di comprare il suo silenzio.

Larnax_Filippo_II

Corona d’oro e larnax (urna funeraria) rinvenuti nella tomba di Filippo. Foto di DocWoKav, CC BY-SA 4.0

Pausania agì da solo, per punire il re che era rimasto sordo davanti alle sue richieste, oppure fu una pedina mossa da qualche eminenza grigia? La gioia di Olimpiade per la morte del marito ed il fatto che l’omicida sia stato ucciso da amici di Alessandro mentre fuggiva, getta un’ombra sui due. Ciò non significa però che furono i mandanti dell’omicidio. È possibile che madre e figlio abbiano avuto sentore di una congiura e che abbiano deciso di non intervenire. Vi è infatti la concreta possibilità che dietro l’omicidio ci fosse il nuovo Re dei Re, Dario III, che aveva tutto l’interesse ad eliminare l’uomo che aveva riunito l’Ellade allo scopo di muovere guerra alla Persia. Quale che sia la verità, non la sapremo mai.

Filippo fu seppellito nella stessa Ege, l’attuale Verghina, e lì riposò fino al XX secolo, quando la sua tomba fu scoperta dagli archeologi. Fu senza alcun dubbio un grande uomo, capace di trasformare una regione povera e periferica in una potenza in grado di dominare la Grecia e di proiettarsi in Asia, sapendo usare al momento giusto la diplomazia, la corruzione ed infine lo strumento militare più raffinato dell’epoca, la falange. Chiusa la sua parabola iniziò quella straordinaria di Alessandro, ma questa è un’altra storia.

BIBLIOGRAFIA

A. Everitt, Alessandro Magno. La vita, le avventure e l’enigma della sua morte, Milano, HOEPLI, 2021

M. Bettalli, A. L. D’Agata, A. Magnetto, Storia Greca, Roma, Carocci editore, 2013

D. Lotze, Storia Greca, Bologna, Il Mulino, 1998

Un pensiero su “Filippo II e l’ascesa della Macedonia (parte 2)

  1. Pingback: Filippo II e l’ascesa della Macedonia (parte 1) | ilviaggiodiodisseo

Lascia un commento