Toccata e fuga a Varsavia (25-27 luglio 2018)

Ciò che rimane di un Hetzer
Foto dell’autore

Dopo essermi rifocillato con una sostanziosa porzione di pierogi, decido di raggiungere il Museo delle Forze Armate per soddisfare il mio fanciullo interiore che passerebbe ancora giorni interi a giocare coi soldatini e a incollare modellini. Non visito il museo, ma mi limito a curiosare tra i veicoli militari esposti all’esterno dell’edificio, che sono liberamente accessibili e fotografabili senza dover acquistare alcun biglietto. Per un appassionato di mezzi militari è un po’ come essere nel paese della cuccagna, dato che l’esposizione copre un periodo che va dalla seconda guerra mondiale alla caduta dell’Unione Sovietica. Giusto per fare un esempio sono esposti un IL-2 Sturmovik, un aereo da attacco al suolo che fu il terrore delle Panzerdivisionen tedesche sul fronte orientale, e poco distante un MiG-29 che sembra essere pronto al decollo da un momento all’altro. Un po’ defilato, vicino ad una lunga fila di mezzi corazzati di produzione sovietica, riesco a trovare anche ciò che resta di un Hetzer, un cacciacarri tedesco della seconda guerra mondiale, particolarmente temuto per il suo basso profilo che lo rendeva difficilmente individuabile. So di sembrare estremamente contraddittorio: la guerra mi fa orrore, così come mi fa orrore l’idea di mandare a morire migliaia di individui, tuttavia rimango affascinato dagli strumenti di morte e dalla strategia militare. Fascino del macabro? Primi segni di squilibrio mentale? Ai posteri l’ardua sentenza.

La coreografia dei tifosi del Legia Warszawa

Sto per guadagnare l’uscita, diretto alla prossima ed ultima meta della mia esplorazione urbana, quando mi si avvicina un ragazzo alla ricerca di informazioni. Viene fuori che pure lui è italiano e che sta girando la Polonia all’avventura. Ne nasce una bella chiacchierata durante la quale mi assicuro di dargli qualche consiglio sui luoghi da visitare e sui modi migliori per spostarsi attraverso il paese. Il mio interlocutore, dal canto suo, mi dice di essere a Varsavia anche per vedere lo stadio del Legia Warszawa ed i murales realizzati dalla tifoseria organizzata. Ora, per quanto siano una delle tifoserie più attive dell’intera Europa orientale, i tifosi del Legia sono anche un branco di ultranazionalisti reazionari e la cosa depone assolutamente a loro sfavore, almeno per quanto mi riguarda. Ciononostante devo ammettere che sono in grado di realizzare coreografie spettacolari e di sicuro impatto, come quella, piuttosto discussa per altro, dedicata all’anniversario dell’insurrezione di Varsavia, scoppiata il 1 agosto 1944.

Uno dei tanti monumenti dedicati all’Insurrezione
Foto dell’autore

Ed è proprio il museo dedicato a questo evento ad essere l’ultima tappa del mio soggiorno varsaviano. Il ricordo dell’insurrezione è particolarmente sentito, tanto che frequentemente le celebrazioni dell’anniversario sono più partecipate di quelle che si tengono l’11 novembre in occasione del giorno dell’indipendenza, mentre targhe, placche e monumenti di vario tipo in memoria dell’accadimento sono presenti ovunque in città. L’esposizione segue un filo cronologico che parte dall’inizio dell’occupazione nazista di Varsavia, andando a descrivere il regime di terrore e di discriminazione imposto dagli occupanti, dedicando spazio anche alle vicende del ghetto e di chi lo abitava, e si conclude con la soppressione della rivolta.

Nell’estate del 1944, con l’approssimarsi della linea del fronte e l’inarrestabile avanzata dell’Armata Rossa in territorio polacco, i vertici dell’Armia Krajowa, il principale movimento di resistenza attivo in Polonia, ritennero fosse giunto il momento di scatenare una insurrezione contro gli occupanti nazisti. Nel tardo pomeriggio del 1 agosto gli insorti riuscirono a mettere le mani su uno dei principali arsenali tedeschi, sul palazzo della posta e su una centrale elettrica, prendendo possesso della maggior parte della città vecchia, del centro e del distretto di Wola. Gli occupanti, tuttavia, mantennero il controllo del castello, dell’aeroporto e di numerosi altri punti strategici. Con serrati combattimenti casa per casa, gli insorti riuscirono a mettere le mani sulla maggior parte della città, rimanendo tuttavia isolati in diverse sacche sparse per il territorio cittadino e fallendo nel tentativo di collegarsi con le forze ribelli presenti all’esterno di Varsavia. Questo, insieme alla distruzione delle punte corazzate sovietiche da parte XXXIX Panzer Korps durante la battaglia di Radzymin, segnò il fato dell’insurrezione. Il comando nazista, infatti, iniziò a far confluire tutte le truppe disponibili, tra reparti della Wehrmacht, unità di polizia e delle SS, per soffocare nel sangue la resistenza, senza alcun riguardo per la vita dei civili.

Dirlewanger a Varsavia

Mentre la Luftwaffe iniziava a bombardare la città, coadiuvata dai calibri pesanti della Wehrmacht, tra cui un mastodontico mortaio Karl da 600 mm, alcuni dei peggiori criminali di guerra delle SS, su esplicito ordine di Heinrich Himmler, diedero il via ad un’orgia di sangue nei distretti di Ochota e Wola. Il numero preciso delle vittime causate dai barbari di Oskar Dirlewanger e Bronislaw Kaminski non è chiaro, anche perchè i cadaveri vennero bruciati, ma si aggira sicuramente intorno a diverse decine di migliaia. Nonostante l’inferiorità numerica, la mancanza di addestramento e l’equipaggiamento deficitario, gli insorti contesero alle forze naziste ogni singolo palmo di terreno, fino al 2 ottobre, data in cui le ultime unità polacche si arresero.

Per punire la città, Hitler stesso diede ordine di radere al suolo Varsavia. Gli abitanti sopravvissuti vennero espulsi, mentre speciali unità, i Verbrennungskommando,  iniziarono un metodico lavoro di distruzione, appiccando incendi casa per casa con i lanciafiamme. Per gli edifici più resistenti, come il Castello ed altri palazzi storici, vennero impiegate ingenti quantità di esplosivo. Le fiamme colpirono deliberatamente anche le biblioteche della città, dove milioni di volumi, alcuni dei quali risalenti al Medioevo, furono ridotti in cenere nel tentativo di distruggere ogni memoria della cultura e della storia polacca. Solo il quartiere di Praga, sulla sponda orientale della Vistola, venne risparmiato, in quanto occupato dalle forze sovietiche. Al termine di questa orribile orgia di fuoco e fiamme, oltre l’80% di Varsavia era ridotto in macerie.

Carro radiocomandato utilizzato per fare esplodere le barricate degli insorti
Foto dell’autore

L’esposizione è particolarmente cruda, con diverse sezioni nascoste dietro a tendaggi e ad avvisi che invitano i visitatori facilmente impressionabili a non entrare. Può sembrare uno scrupolo inutile, ma credetemi che è difficile non essere scossi dalla visione delle foto scattate a Wola e Ochota dopo la mattanza compiuta dalle SS. Ad essere onesti in Polonia è impossibile non uscire con lo stomaco attorcigliato da una qualsiasi mostra dedicata alla seconda guerra mondiale, perchè l’orrore dell’occupazione supera ogni possibile immaginazione e trascende i limiti della semplice crudeltà. Quando si dice che la Polonia ha sofferto più di ogni altro paese nel Ventesimo secolo, c’è forse un fondo di verità. Come potrebbe essere altrimenti per un paese che ha sperimentato senza soluzione di continuità le follie razziali del nazismo e le paranoie staliniste?

Proprio a Stalin il museo non risparmia diversi attacchi, anche per il ruolo ambiguo che ebbe durante l’insurrezione. Se è vero che le truppe dell’Armata Rossa avevano subito gravi perdite durante l’avanzata fino alla Vistola e che gran parte delle unità corazzate furono spazzate via a Radzymin, è altrettanto vero che egli impedì agli aerei anglo-americani di atterrare negli aeroporti sovietici dopo gli aviolanci di rifornimento agli insorti, se non nelle ultime fasi della battaglia, quando ormai le sorti dei ribelli erano state decise. Il leader sovietico, infatti, non vedeva di buon occhio insurrezioni di stampo nazionale, tanto che abbandonò a loro stessi anche gli insorti slovacchi che più o meno nello stesso periodo avevano dato vita ad una insurrezione su larga scala in Slovacchia.

Aspettando l’autobus
Foto dell’autore

Quella dopo la visita al museo è stata una nottata strana, in cui ho faticato a prendere sonno. Il mattino dopo, all’alba, mentre aspettavo il bus diretto all’aeroporto, forse ne ho capito il motivo. Osservando la mole del Chuj Stalina – ormai lo chiamerò solo così – questo si è lentamente trasformato nella torre di Barad-dur, dalla cui cima l’occhio fiammeggiante di Sauron setaccia senza riposo la Terra di Mezzo alla ricerca dell’unico Anello. Che lo spirito del defunto leader sovietico aleggi ancora sulla cima del Palazzo della Cultura e della Scienza alla ricerca di deviazionisti e controrivoluzionari? Tornando seri una cosa l’ho capita davvero. Varsavia è una città che merita una visita molto più approfondita rispetto a quella che ho provato a raccontare sperando di non essere risultato troppo prolisso. Dovrò tornarci prima o poi.

2 pensieri su “Toccata e fuga a Varsavia (25-27 luglio 2018)

  1. Di solito non leggo articoli lunghi, ma il tuo mi ha appassionato.
    Sarà perché frequento Varsavia da almeno 5 anni (la mia compagna è polacca) e mi è piaciuto ri-passeggiare per luoghi che conosco e adoro. O forse perchè ho potuto approfondire le conoscenze su una città che reputo straordinaria.
    Comunque sono arrivato alla fine e ti ringrazio 🙂

    "Mi piace"

Lascia un commento