Matthias Sindelar, il Wunderteam e l’Austria degli anni Trenta

Matthias Sindelar, il Mozart del pallone

Il mondo del pallone può essere usato come filo conduttore per raccontare la storia, o parte di essa, di un paese? Non lo so, ma ho voluto provarci in ogni caso. A vederla oggi, l’Austria non sembra un paese dalla solida tradizione calcistica. Eppure negli anni ’30 la nazionale austriaca raggiunse vette di gioco sublimi, diventando una delle selezioni più forti al mondo, tanto da meritarsi l’appellativo di Wunderteam (letteralmente “la squadra delle meraviglie”).

Artefice ed anima di questo successo fu Hugo Meisl, uno dei migliori allenatori mai nati nel paese alpino, se non il migliore. Il suo era un calcio incredibilmente moderno per i tempi, fatto di rapidi passaggi in successione ed incentrato sulla fludità dei cambi di ruolo in campo. Stella e capitano del Wunderteam era l’altrettanto meraviglioso Matthias Sindelar, giocatore capace di guadagnare la nomea di Mozart del pallone.

Tra il 1931 ed il 1932, la selezione austriaca inanellò una serie di 14 vittore consecutive, aggiudicandosi così la Coppa Internazionale, l’antenata degli attuali Europei. Ai mondiali del 1934 la squadra arrivò fino alla semifinale, dove venne battuta dalla nazionale italiana, guidata da Vittorio Pozzo, che vincerà la competizione. Seguiranno un secondo posto all’edizione successiva della Coppa Internazionale ed un argento alle Olimpiadi di Berlino nel 1936.

L’estensione della Repubblica dell’Austria tedesca nel 1918, confrontata con i confini dell’Austria contemporanea.
Fonte Wikipedia

I pronostici per i mondiali del 1938 erano decisamente favorevoli al Wunderteam, ma la prematura morte di Meisl e gli eventi internazionali segneranno la fine di quella che fu una delle più belle nazionali al mondo. A questo punto occorre fare un piccolo salto indietro di circa venti anni. Nell’autunno del 1918, ancora prima della sconfitta sul campo, l’Impero austro-ungarico crollò come un castello di carta: uno dopo l’altro i vari territori che componevano la Duplice Monarchia dichiararono l’indipendenza, modificando radicalmente l’assetto geopolitico dell’Europa centro-orientale e dei Balcani. Il 12 novembre dello stesso anno venne proclamata la Repubblica dell’Austria tedesca, un’entità statale comprendente il territorio dell’odierna Austria e, almeno a livello formale, il Sudtirolo, il nord della Slovenia e le zone a maggioranza tedesca dei Sudeti, nata con lo scopo dichiarato di condurre il paese verso un’unione con la Germania. Tale proposito venne tuttavia frustrato l’anno successivo dalla firma del Trattato di Saint Germain che, oltre a ridurre l’Austria alle dimensioni attuali, proibiva esplicitamente la fusione tra i due paesi di lingua tedesca.

La neonata repubblica austriaca ebbe una vita piuttosto travagliata. Il paese era infatti attraversato sia da forti spinte centrifughe, sia percorso da una profonda spaccatura tra la capitale governata dai socialdemocratici – la cosiddetta Vienna Rossa – e le città industriali, dove il partito comunista trovava sempre maggiori consensi tra gli operai, da un lato ed il resto del paese, molto più conservatore ed orientato sulle posizioni del partito cristiano-sociale, dall’altro. La presenza di diversi corpi paramilitari legati ai vari partiti politici portò a numerosi episodi di violenza, il più famoso dei quali è senza dubbio la rivolta del luglio 1927. A seguito dell’assoluzione di tre nazionalisti, responsabili della morte di un veterano e di un bambino, il partito socialdemocratico proclamò lo sciopero generale contro il governo, all’epoca retto dai cristiano-sociali. Una folla inferocita si riversò nelle strade della capitale diretta verso il Parlamento, ma, non riuscendo a sfondare il cordone di polizia, deviò verso il Palazzo di Giustizia che venne dato alle fiamme. A questo punto le forze di polizia, armate di fucili, aprirono il fuoco sulla folla: si contarono 89 morti e oltre 600 feriti.

Engelbert Dollfuss

La rivolta di luglio radicalizzò ulteriormente gli elementi conservatori, portando ad una escalation di violenza che si trascinò fino agli anni ’30. Tale radicalizzazione si manifestò anche con l’elezione di Engelbert Dollfuss a cancelliere nel maggio del 1932. Dollfuss improntò la sua azione di governo all’autoritarismo fondando il Vaterländische Front (Fronte Patriottico), con lo scopo dichiarato di riunire tutti i patrioti austriaci in un singolo partito. L’anno successivo il cancelliere austriaco riuscì a sospendere i lavori del parlamento e a rendere il Fronte Patriottico l’unico partito legale in Austria, stroncando nel sangue la resistenza dello Schutzbund socialdemocratico. Nasceva in questo modo il cosiddetto “austrofascismo”, un regime che attingeva tanto dal conservatorismo cattolico e dal nazionalismo austriaco, quanto dal corporativismo e dal fascismo italiano. Proprio l’Italia fascista diventò il principale alleato di Dollfuss, che ora doveva affrontare la duplice minaccia proveniente dai nazionalsocialisti austriaci foraggiati dalla Germania, dove nel frattempo era diventato cancelliere Adolf Hitler, che non faceva alcun mistero dei propri intenti espansionistici.

Furono proprio i nazisti austriaci, appoggiati dal governo federale bavarese, a mettere in scena un tentativo di colpo di stato nel luglio del 1934. Nonostante l’uccisione del cancelliere da parte dei cospiratori, il resto del governo austriaco riuscì a fuggire, mentre lo schieramento di quattro divisioni italiane sul Brennero consigliò ad Hitler di non intervenire mentre i golpisti venivano schiacciati dalle forze fedeli al Fronte Patriottico.

Il nuovo cancelliere austriaco, Kurt von Schuschnigg, si trovò presto ad affrontare un quadro geopolitico radicalmente diverso da quello del suo predecessore. La guerra di aggressione in Abissinia ed il fallimento del Fronte di Stresa avevano isolato diplomaticamente l’Italia che lentamente iniziò a spostarsi su posizioni sempre più filo tedesche. La Germania, da parte sua, dopo la rimilitarizzazione della Renania aveva ripreso la sua politica di ingerenza negli affari interni austriaci, tanto che, nel 1936, i due paesi avevano sottoscritto un trattato contente una clausola segreta che imponeva l’ingresso di esponenti filo nazisti all’interno del governo di Vienna.

Parata per l’Anschluss a Vienna.
Fonte Bundesarchiv

Hitler aspettò pazientemente fino all’inizio del 1938, quando impose a von Schuschnigg un vero e proprio ultimatum: pena l’occupazione militare del paese, l’Austria avrebbe dovuto rendere nuovamente legale il partito nazista austriaco ed inserire tre suoi esponenti nella compagine di governo. Il cancelliere accettò le condizioni, decisione che venne accolta con manifestazioni di giubilo da parte dei simpatizzanti nazisti. La pressione tedesca si fece sempre più opprimente, tanto che Hitler pretese e ottenne la destituzione di von Schuschnigg che venne sostituito dal fedelissimo Seyss-Inquart, un nazista della prima ora. Nel pomeriggio dell’11 marzo, infine, le truppe della Wehrmacht iniziarono l’occupazione del paese, dopo che l’ambasciatore tedesco a Roma ebbe la certezza del non intervento italiano.

La scheda elettorale del referendum truffa. Notare la posizione centrale e le maggiori dimensioni del “sì” rispetto al “no”. Fonte Wikipedia

L’annessione ed il conseguente referendum truffa sancirono il fato dell’Austria e della sua nazionale. Destino del Wunderteam, infatti, era quello di confluire nella nuova selezione del Reich tedesco. Per celebrare l’annessione dell’Austria e per creare una sorta di scenografico passaggio di testimone calcistico, i gerarchi nazisti idearono una di quelle messe in scena che tanto piacciono ai regimi: la nazionale austriaca avrebbe indossato per un’ultima volta i propri colori per giocare e, almeno nelle intenzioni degli alti papaveri del Reich, perdere contro la nazionale tedesca. Come data venne scelto il 3 aprile 1938. L’Anschlussspiel, questo il nome dato all’evento dalla propaganda del regime, entrò negli annali della storia del calcio, consegnando Sindelar alla leggenda.

Il capitano, infatti, giocò la migliore partita della sua carriera, facendosi beffe degli avversari, tanto da permettersi di sbagliare di proposito davanti alla porta tedesca, prima di segnare il vantaggio austriaco al 70′. Nel finale il gol di Karl Sesta sancì la vittoria del Wunderteam per 2-0.

Alla fine dell’incontro, il cerimoniale prevedeva che tutti i giocatori coinvolti nell’evento omaggiassero le autorità con il saluto nazista. Sesta e Sindelar, che in occasione della prima rete era andato a festeggiare proprio sotto la tribuna centrale dove sedevano i gerarchi, furono gli unici a rifiutarsi. Un atto di coraggio tutt’altro che scontato nell’Austria dell’epoca.

La tomba di Sindelar a Vienna

Convocato successivamente nella nazionale del Reich, Sindelar non solo rifiutò sdegnosamente, ma in aperta polemica appese direttamente le scarpe da calcio al chiodo, ritirandosi a vita privata. Per nulla al mondo avrebbe indossato i colori della Germania nazista. Morirà poco dopo, agli inizi del 1939, in circostanze mai del tutto chiarite: se l’autopsia indicò in un avvelenamento da monossido di carbonio la causa della morte, resta comunque vero che l’ex campione fosse sorvegliato dalla Gestapo e che le autorità viennesi conclusero le indagini in modo piuttosto sbrigativo. Presumibilmente non sapremo mai la verità sulla morte di Sindelar, in quanto i documenti relativi sono andati in massima parte distrutti o smarriti durante il secondo conflitto mondiale.  Al suo funerale parteciparono oltre 40.000 persone e nel sessantesimo anniversario della morte, nel 1999, venne eletto miglior calciatore austriaco di sempre.

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