La restaurazione del potere imperiale e la nascita del Giappone moderno

Meiji in viaggio da Kyoto a Edo (1868)

Sebbene la storiografia nipponica abbia la tendenza a dipingere la Restaurazione Meiji come una fase di transizione pacifica, la realtà appare ben diversa. Innanzitutto causò lo scoppio di una guerra civile, breve ma piuttosto intensa, passata alla storia con il nome di guerra Boshin. Successivamente lo scontento provocato dalla rapidissima modernizzazione della società giapponese, portò a diverse rivolte armate, la più famosa delle quali è sicuramente quella di Satsuma, passata alla storia come il canto del cigno dei samurai.

Nell’ultimo post ci siamo fermati all’irruzione delle forze guidate da Saigo Takamori nel palazzo imperiale di Kyoto, dove, davanti ai dignitari di corte e ad alcuni feudatari, lesse un proclama con cui dichiarò restaurato il potere imperiale. Immediatamente dopo, però, lesse una seconda dichiarazione che, in aperta violazione delle condizioni poste dall’ultimo shogun per la propria abdicazione, annunciava la confisca di tutti i beni della famiglia Tokugawa. Tokugawa Yoshinobu reagì nell’unico modo possibile per un nobile giapponese dell’epoca, ossia chiamò alle armi i propri sostenitori: il paese, che era stato unito e pacificato per oltre due secoli e mezzo, si trovò così diviso tra fazione imperiale, capeggiata dai feudi di Choshu e Satsuma, e fazione shogunale, in cui spiccavano i feudi di Aizu e Sendai.

Samurai di Satsuma durante la guerra Boshin

Le prime scintille si sprigionarono nella capitale Edo, dove vennero appiccati diversi incendi alle fortificazioni esterne del castello, la residenza principale dello shogun. Per ritorsione i lealisti attaccarono un palazzo di proprietà del signore di Satsuma, dove avevano trovato rifugio diversi oppositori: l’edificio venne dato alle fiamme, mentre gli occupanti vennero passati a fil di spada. Il 27 gennaio 1868 le forze dello shogunato si scontrarono con le forze filo imperiali nella battaglia di Toba-Fushimi alla periferia di Kyoto. Lo scontro si protrasse per circa un mese, fino alla conquista da parte delle forze imperiali del castello di Osaka, evento che costrinse le truppe dello shogun, indebolite per altro da diverse defezioni, a ritirarsi ad Edo. La stessa capitale venne espugnata da Saigo Takamori nel maggio dello stesso anno, costringendo le forze lealiste a rifugiarsi nell’estremità settentrionale dell’isola di Honshu. Sconfitti nuovamente sul campo, gli ultimi lealisti fuggirono sull’isola di Ezo, l’odierna Hokkaido, dove proclamarono la repubblica. La battaglia di Hakodate (maggio 1869), tuttavia, si concluse con una vittoria dell’esercito imperiale e sancì la fine dell’unica esperienza repubblicana nella storia dell’arcipelago nipponico e della guerra civile.

Sconfitto lo shogun sul campo di battaglia (più avanti realizzerò un post dove tratterò in dettaglio la guerra Boshin, se vi sarà richiesta), ora occorreva consolidare l’appena restaurato potere imperiale e rassicurare la popolazione. Lo stesso imperatore Meiji era ancora un adolescente, per cui in questa fase molto dipese dalla cerchia dei suoi consiglieri, uomini solitamente giovani, appartenenti ai bassi ranghi della casta dei samurai e animati da una smisurata ambizione personale, oltre che da un forte sentimento nazionalista.

Il giovane Meiji nel 1872

La prima azione del nuovo governo fu l’emanazione, nell’aprile 1868, ancora in piena guerra, del Giuramento dei cinque articoli che prevedeva: la discussione pubblica di tutte le questioni; la partecipazione di tutte le classi all’amministrazione del paese; la libertà di svolgere qualsiasi occupazione si desiderasse; l’abbandono delle cattive abitudini del passato; la ricerca del sapere in tutto il mondo, in modo da rinsaldare le fondamenta del potere imperiale. Oltre ad inaugurare un periodo di mobilità sociale, il Giuramento è interessante perché all’ultimo punto dimostra chiaramente l’intenzione di non considerare più la presenza straniera come una minaccia, bensì come una immensa opportunità per rafforzare il paese. Il motto “sonno-joi“, che aveva animato gli oppositori dello shogunato, venne presto sostituito dal più pragmatico “Wakon Yosai“, letteralmente “spirito giapponese, sapere occidentale”.

Nel luglio dello stesso anno venne promulgata una prima costituzione che, seppur redatta in modo piuttosto frettoloso, prevedeva l’istituzione di un’assemblea nazionale e di un Gran Consiglio di Stato. Al contempo il nuovo governo decise di abbandonare il dualismo Edo-Kyoto e di centralizzare il potere in una sola capitale. La scelta cadde sulla città di Edo, che venne ribattezzata Tokyo, in cui l’imperatore si trasferì l’anno successivo – la data del trasferimento segna l’inizio convenzionale del periodo Meiji – seguito a ruota dal Gran Consiglio.

L’ultimo shogun (1867)

Obiettivo primario del nuovo governo divenne la revisione dei trattati ineguali: il desiderio di trattare alla pari con le potenze occidentali spinse il paese ad una rapida occidentalizzazione e ad una serie di grandi riforme che cambiarono definitivamente il volto del paese. Riprendendo una politica del periodo Nara, il territorio fu nazionalizzato a partire dai vecchi domini dello shogunato, che rappresentavano circa un quarto del Giappone. Nel marzo del 1869, poi, i signori di Choshu e Satsuma rimisero i propri possedimenti nelle mani dell’imperatore, spingendo gli altri daimyo, non senza malumori, a fare altrettanto. In cambio il governo imperiale confermava gli ex signori feudali nel ruolo di governatore e si faceva carico dei debiti e delle spese di mantenimento dei samurai. Nel 1871, infine, il vecchio sistema feudale venne ufficialmente abolito e sostituito con la suddivisione del territorio nazionale in prefetture, sistema che, seppur riformato più volte, è in uso ancora oggi.

Un governo fortemente centralizzato come quello Meiji necessita di adeguate infrastrutture per comunicare rapidamente con ogni angolo del paese. Il telegrafo fece la sua comparsa molto presto, già nel 1869, mentre il servizio postale – piccola curiosità, i postini furono tra i primi dipendenti pubblici a dover indossare abiti di foggia occidentale mentre erano in servizio – venne istituito nel 1871. La prima linea ferroviaria venne inaugurata nel maggio del 1872, tra gli insediamenti stranieri di Yokohama e Shinagawa. L’arrivo del treno causò una vera e propria rivoluzione dei trasporti, riducendo enormemente i costi ed i tempi di spostamento di merci e passeggeri. Lo sviluppo della rete ferroviaria divenne una priorità, tanto da arrivare ad assorbire fino ad un terzo degli investimenti statali: in quindici anni il Giappone costruì ben 1600 km di ferrovie, che divennero 8000 entro la fine del secolo.

L’enorme aumento della spesa pubblica portò alla necessità di riformare l’intero sistema finanziario giapponese, compito che fu assunto dal ministro delle finanze e dal suo assistente Ito Hirobumi, che era stato inviato negli Stati Uniti per studiare il sistema valutario. Venne creata una zecca moderna e con essa un nuovo sistema monetario basato sullo yen ed un moderno sistema bancario. Nel 1873 venne introdotta una nuova tassa fissa sulla proprietà fondiaria, basata sulla stima del valore di un determinato lotto di terreno, che andò a sostituire il vecchio sistema feudale dei tributi variabili in base al raccolto. Se da un lato questo aumentò la produttività, dall’altro incrementò il tasso di locazione fino al 40%, spingendo molti contadini ad ipotecare i campi per poter pagare l’imposta. Come si può facilmente intuire, questo provocò un certo malcontento.

Ritratto di Saigo Takamori

Ulteriore malcontento fu causato dalla graduale eliminazione della classe dei samurai, sicuramente il colpo più grande al vecchio ordine sociale. Come abbiamo visto, il mantenimento dei samurai era diventato di competenza del governo centrale. Sebbene molti di loro lavorassero come amministratori o fossero confluiti nel corpo di polizia e nell’esercito – nel 1873 venne istituita la coscrizione obbligatoria, trasformando di fatto ogni cittadino in un potenziale guerriero – altrettanti rimasero ufficialmente disoccupati. Il governo decise quindi di sostituire la classica retribuzione con un sistema di obbligazioni statali, mentre nel 1876 venne promulgata una legge che vietava di portare la spada: un affronto inimmaginabile per uomini educati come guerrieri che consideravano la lama come estensione del proprio onore.

Raffigurazione della battaglia di Shiroyama

Fu proprio tra gli ex samurai che il malcontento degenerò in aperta rivolta. A guidare gli insorti fu Saigo Takamori, lo stesso personaggio che un decennio prima aveva assaltato il palazzo imperiale di Kyoto e letto il proclama che restaurava il potere imperiale. Possibile? Nel 1873 Saigo aveva proposto una spedizione militare contro la Corea, al fine di restituire uno scopo ed un valore agli ex guerrieri. La proposta venne accantonata, anche per non turbare le potenze occidentali, ma Takamori si dimise dal Gran Consiglio e tornò a Satsuma, dove in breve tempo divenne punto di riferimento del sentimento antigovernativo. Temendo una possibile rivolta, nel gennaio 1877 il governo inviò a Kagoshima una spedizione navale con l’ordine di confiscare le munizioni. Le forze governative vennero attaccate e sopraffatte, mentre nel febbraio dello stesso anno quarantamila ex samurai al comando di Saigo affrontarono l’esercito alle porte di Kumamoto. Dopo sei settimane di battaglia i rivoltosi furono sconfitti e nel settembre dello stesso anno, a Shiroyama, Saigo Takamori e altri quattrocento fedelissimi trovarono finalmente la “bella morte” ricercata da ogni samurai.

Amaterasu -al centro – in un famoso episodio della mitologia giapponese

Dal punto di vista religioso, la nuova Costituzione garantiva piena libertà di culto. Migliaia di “kakure kirishitan” o “cristiani nascosti”, discendenti di coloro che si convertirono al cristianesimo prima della sua messa al bando all’inizio dello Shogunato Tokugawa, poterono uscire allo scoperto e professare pubblicamente la loro fede. Non si trattò di un atto disinteressato, anzi: il governo Meiji sapeva che all’epoca buona parte dei paesi occidentali calcolava il grado di civiltà di una nazione in base all’atteggiamento della stessa nei confronti dei seguaci di Cristo. A livello istituzionale, infine, si abbandonò il Buddhismo a favore dello Shintoismo, in cui l’Imperatore giocava un ruolo centrale in quanto discendente diretto di Amaterasu, la divinità solare.

Al rapido susseguirsi di cambiamenti di enorme portata, i giapponesi reagirono con la filosofia dell’auto-aiuto e con il darwinismo sociale di Spencer, che venne addirittura consultato dal governo: in questa epoca di tumulti il singolo individuo era abbandonato a se stesso e soltanto affinando diligentemente le proprie capacità poteva ritagliarsi uno spazio all’interno della società. Il governo Meiji fece proprie queste spinte individuali e cercò di incanalarle verso un obiettivo comune: la nascita di una nazione forte, ed è in questo preciso momento storico che il nazionalismo giapponese “moderno” vede la luce, quello stesso nazionalismo che nel secolo successivo porterà ad indicibili brutalità. Il Tenno, l’imperatore, divenne nuovamente il fulcro intorno a costruire questa nuova nazione, forte abbastanza da trattare alla pari con gli occidentali.

L’Imperatore Meiji nel 1880

Il modo migliore per condizionare l’opinione pubblica e inculcare determinati valori nella testa delle masse è, oltre alla propaganda, il controllo dell’istruzione: nel 1872 venne proclamato l’obiettivo dell’istruzione universale e già nel 1879 quasi due terzi dei ragazzi ed un quarto delle ragazze avevano ricevuto una qualche forma di istruzione. All’epoca, buona parte dei libri di testo erano traduzioni di scritti occidentali e in quanto tali traboccavano di idee come l’egualitarismo ed i diritti individuali. Per evitare la diffusione di concetti che potevano minare alla base i valori tradizionali giapponesi, lo Stato iniziò ad esercitare un controllo sempre più stringente sull’educazione e sugli stessi libri di testo. Le nuove edizioni, realizzate ex novo da autori nipponici approvati, veicolavano principi morali che si basavano sui valori confuciani e shintoisti: i libri di testo e le aule scolastiche divennero strumenti di indottrinamento. In questo senso il Rescritto imperiale sull’educazione del 1890 getta le basi di quella che sarà l’ideologia giapponese per il mezzo secolo successivo: l’imperatore, padre benevolo di ogni suddito, è identificato con lo Stato; dovere di ogni suddito/figlio è obbedire docilmente al proprio genitore per il bene della Nazione/Famiglia.

Promulgazione della Costituzione Meiji

La vecchia Costituzione del 1868 venne sostituita l’11 febbraio 1889 dalla più famosa e più seria Costituzione Meiji. Il Consiglio si divise tra i sostenitori di un documento di stampo liberale, sul modello della Costituzione britannica, e tra i sostenitori di un documento più autoritario, ispirato al mondo tedesco. A spuntarla fu infine Ito Hirobumi che redasse un nuovo documento sul modello della Costituzione prussiana, grazie anche all’aiuto di diversi consiglieri tedeschi. La data in cui venne promulgato il documento costituzionale non fu scelta a caso: l’11 febbraio, infatti, è l’anniversario della fondazione dello Stato giapponese che, almeno secondo il Nihon Shoki, avvenne nel 660 a.C. La legge fondamentale dello Stato fu presentata come un dono dell’Imperatore al suo popolo e sanciva l’immutabile potere sovrano del Tenno in virtù della sua discendenza divina. Sotto questa patina, tuttavia, il potere imperiale aveva importanti limitazioni: tutti i decreti imperiali, infatti, dovevano essere controfirmati da un ministro.

Riunione della Dieta

La nuova Costituzione prevedeva una Dieta bicamerale, divisa in Camera dei Pari, costituita da nobili di rango elevato e alcuni membri eletti, e in Camera dei Rappresentanti, i cui membri erano tutti eletti. Il diritto di voto, tuttavia, era estremamente limitato, in quanto concesso soltanto a chi versava almeno 15 yen di tasse all’anno, ovvero meno del 2% della popolazione giapponese. La stessa Dieta aveva ben poco potere, in quanto i ministri rispondevano direttamente al Tenno, così come le forze armate. Alla popolazione furono concessi alcuni diritti, la cui validità effettiva era limitata dall’ambigua specificazione «entro limiti tali da non pregiudicare la pace e l’ordine». Pur essendo un passo verso la democrazia, la Costituzione Meiji costruì un assetto istituzionale che fu alla base degli eventi del secolo successivo.

BIBLIOGRAFIA

K. G. Henshall, Storia del Giappone, Milano, Arnoldo Mondadori, 2016

P. Beonio-Brocchieri, Storia del Giappone, Milano, Arnoldo Mondadori, 1996

R. Caroli, F. Gatti, Storia del Giappone, Roma-Bari, Gius. Laterza & Figli, 2004

R. H. P. Mason, J. G. Caiger, A History of Japan, Rutland, Tuttle Publishing, 1997

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