La guerra di confine sovietico-giapponese e le conseguenze di Khalkhin Gol

Zhokov (a destra) in compagnia di altri due alti ufficiali

Sin dai tempi della guerra del 1904-05, l’Impero Russo e l’Impero del Giappone si trovarono in grave contrasto a causa di interessi contrastanti in Estremo Oriente, spesso arrivando alle vie di fatto. Tale situazione venne ereditata dall’Unione Sovietica che, durante gli anni ’30, si vide costretta a difendersi dalla crescente pressione nipponica che provocò una vera e propria guerra non dichiarata.

Le acquisizioni russe dopo i trattati ineguali

In realtà l’interesse russo per la regione del basso Amur e la Manciuria risale a prima del XX secolo. Già alla metà del secolo precedente, infatti, con il trattato di Aigun e altri accordi successivamente passati alla storia con il nome di “trattati ineguali”, il governo dello zar era riuscito a farsi cedere dalla Cina della dinastia Quing una enorme fascia di territorio lungo il corso dei fiumi Amur e Ussuri. Dal canto suo il Giappone aveva pretese sulla penisola coreana sin dai tempi delle spedizioni di Toyotomi Hideyoshi (XVI secolo), riuscendo ad ottenerne il controllo soltanto nel 1895 a seguito della prima guerra sino-giapponese. Il trattato di Shimonoseki, inoltre, assegnava al Giappone anche la penisola di Liaodong e l’importante scalo di Port Arthur. Non appena i termini del trattato divennero di dominio pubblico, però, la Russia, spalleggiata da Francia e Germania, costrinse i giapponesi a riconsegnare ai cinesi la penisola, in cambio di un consistente indennizzo, successivamente impiegato per l’acquisto di moderne navi da guerra in Inghilterra. Tuttavia i russi non rispettarono il patto ed occuparono immediatamente Port Arthur, causando notevole irritazione in Giappone e creando il casus belli per la guerra russo-giapponese che scoppiò un decennio dopo e si risolse con una clamorosa sconfitta per le forze zariste. Per ironia della sorte la flotta russa venne praticamente annientata nello stretto di Tsushima dalle moderne navi giapponese acquistate con i soldi della compensazione di un decennio prima. L’umiliazione subita costò alla Russia la parte meridionale dell’isola di Sakhalin, l’intera penisola di Liaodong e l’abbandono di ogni pretesa sulla Manciuria, oltre al riconoscimento della zona di influenza giapponese sulla Corea, che venne annessa nel 1910. Inoltre, a livello di politica interna, fu la scintilla che portò alla rivoluzione del 1905.

Il “barone pazzo” Roman von Ungern-Sternberg

Successivamente i giapponesi parteciparono con entusiasmo e con un largo spiegamento di truppe all’intervento alleato nella Russia dilaniata dalla guerra civile. Il 3 agosto 1918, infatti, occuparono Vladivostok con una divisione di fanteria, seguita in breve tempo da una seconda: per novembre in territorio russo si trovavano oltre 70.000 soldati nipponici guidati dal generale Otani che in seguito fu posto al comando di tutte le truppe straniere nell’Estremo Oriente russo. I giapponesi si rifiutarono di avventurarsi ad ovest del lago Bajkal, assicurando invece il controllo delle linee ferroviarie, di città e punti strategici. Per tutta la durata della guerra civile rifornirono di munizioni e finanziamenti due comandanti russi: il generale Gregorij Semenov, atamano dei cosacchi del Transbajkal, e il generale Ivan Kalmykov, atamano dei cosacchi dell’Ussuri; più tardi questo appoggio si sarebbe esteso al generale barone von Ungern-Sternberg in Mongolia (1). L’intervento nipponico, tuttavia, si rivelò fallimentare a causa delle enormi spese sostenute a fronte dell’impossibilità di ottenere risorse economiche, anche a causa della crescente pressione dei bolscevichi che sconfissero tutti i signori della guerra fantoccio al soldo del Sol Levante. Il 20 ottobre del 1922 i giapponesi evacuarono Vladivostok che venne occupata dai sovietici cinque giorni dopo, sancendo la fine della guerra civile.

Con il consolidamento dell’Unione Sovietica, gli interessi in Asia Centrale e in Manciuria si fecero più pressanti. L’attenzione sovietica era rivolta in particolar modo alla Transmanciuriana, una linea ferroviaria strategicamente rilevante che univa Vladivostok a Chita e che, attraversando il territorio della Manciuria, costituiva una notevole scorciatoia rispetto al tracciato tradizionale della Transiberiana. Tale ferrovia venne costruita ai tempi dello zar con capitali russi e la collaborazione della Cina dei Quing. Nel 1924, attraverso un protocollo segreto, i sovietici annullarono ogni trattato e convenzione inerente la linea, rimandando ogni decisione in merito ad una successiva conferenza da tenersi con rappresentanti del governo cinese. Nel frattempo, lasciando il governo cinese all’oscuro, presero contatto con il signore della guerra manciuriano Zhang Xueliang, offrendogli attraverso un accordo segreto un potere decisionale enorme sulla gestione della linea in cambio della protezione degli interessi sovietici nell’area: di fatto, lavorando nell’ombra, i sovietici si garantirono il totale controllo

Soldati sovietici in posa con bandiere cinesi catturate

della ferrovia. I cinesi provarono a riprendere il controllo della Transmanciuriana nel 1929, scatenando così un breve conflitto sino-sovietico: l’Armata Rossa piegò la resistenza del Kuomitang ed il governo cinese fu costretto a firmare il trattato di Khabarovsk che sanciva definitivamente lo status quo precedente al conflitto. I sovietici, inoltre, mostrarono notevole interesse per lo Xinjiang, la regione più occidentale dell’attuale Repubblica Popolare Cinese, abitata dagli Uiguri di fede islamica: Mosca, infatti, appoggiò militarmente ed economicamente Sheng Shicai, un signore della guerra locale che nei primi anni ’30 si ribellò al governo centrale e diede vita ad uno stato indipendente sulla carta, ma di fatto dipendente in tutto e per tutto dall’Unione Sovietica che infatti esercitava il vero controllo.

L’ingresso delle truppe giapponesi a Mukden

Ritornando in Manciura, il conflitto del 1929 aveva lasciato un vuoto di potere nella regione e i giapponesi decisero di approfittarne. Il 18 settembre del 1931, nei pressi di Mukden, un agente nipponico fece detonare della dinamite vicino al tracciato di una ferrovia gestita da una società giapponese: usando il finto attentato come pretesto per denunciare l’insicurezza della zona e la necessità di proteggere gli interessi del Sol Levante, l’esercito del Kwantung iniziò l’occupazione dell’intera Manciuria. Le difese cinesi vennero scardinate velocemente, non senza atrocità da parte delle truppe imperiali, e nel febbraio dell’anno successivo venne proclamata la nascita del Manchukuo, uno stato fantoccio che nel 1934 prenderà l’altisonante nome di “Impero della Grande Manciuria”, con a capo l’ultimo imperatore della dinastia Quing, Puyi che, ancora bambino, venne detronizzato dopo la rivoluzione cinese del 1912.

Già dal 1933 i nipponici cercarono di instaurare un altro governo fantoccio, il Mengjiang (che verrà ufficialmente proclamato nel 1939), nella Mongolia Interna e su altre zone della Cina settentrionale. I confini tra gli stati fantoccio giapponesi da un lato e l’Unione Sovietica e la Mongolia, di fatto stato fantoccio sovietico, dall’altro erano tutto meno che ben definiti, cosa che in breve tempo portò ad una vera e propria guerra non dichiarata. Fonti dell’Esercito Imperiale Giapponese parlano di qualcosa come 152 violazioni minori solo tra il 1932 ed il 1934, mentre la diplomazia sovietica definiva apertamente i giapponesi come “nemici fascisti”. Nel gennaio del 1935 si giunse al primo scontro armato, quando diverse dozzine di cavalieri mongoli sconfinarono e attaccarono una pattuglia del Manchukuo nei pressi del tempio buddista di Halhamiao, per poi ritirarsi all’arrivo dei rinforzi giapponesi. Nel giugno dello stesso anno, truppe dell’esercito del Kwantung attaccarono una pattuglia dell’Armata Rossa dopo che questa aveva sconfinato nei pressi del lago Khalka. Altri scontri a fuoco si succedettero negli anni successivi, arrivando all’impiego di blindati e aerei da combattimento. La situazione peggiorò ulteriormente nel 1937, quando il Giappone dichiarò guerra alla Cina e l’Unione Sovietica reagì fornendo a quest’ultima un discreto quantitativo di armamenti e, soprattutto, qualche migliaio di “volontari” da impiegare come consiglieri militari.

Nel luglio del 1938, nei pressi del Lago Chasan, sul confine sovietico-coreano, si ebbe il primo scontro con impiego di truppe a livello divisionale. I sovietici occuparono delle alture nei pressi del bacino che i giapponesi consideravano parte del territorio coreano. L’ambasciatore nipponico a Mosca chiese il ritiro delle truppe sovietiche, ma la richiesta venne rigettata. Di conseguenza l’esercito giapponese lanciò una serie di assalti con l’ausilio di corazzati leggeri che costrinse i sovietici a sloggiare dalle alture contese. In risposta il commissario alla difesa Voroshilov mobilitò l’intera 1° Armata costiera e la flotta del Pacifico, inviando il generale Blucher ad assumere il controllo del settore. Il contrattacco russo, seppur al prezzo di perdite pesantissime, costrinse i giapponesi a ritirarsi e a chiedere la cessazione delle ostilità. Per il povero Blucher si trattò di una vittoria di Pirro: le pesanti perdite registrate furono ascritte all’incapacità del comandante che, una volta accusato di essere una spia al soldo di Tokyo, venne processato e giustiziato dal NKVD.

Soldati giapponesi attraversano il fiume Khalkhin Gol

L’ultimo, più grande e pregno di conseguenze, episodio della guerra di confine sovietico-giapponese si verificò l’anno successivo, sul fiume Khalkhin Gol in Mongolia. Tutto ebbe inizio in maggio, quando dei reparti di cavalleria mongola scambiarono dei colpi di arma da fuoco con la loro controparte del Manchukuo. I giapponesi reagirono inviando rinforzi nella zona, ammassando per giugno ben 30.000 uomini, presto imitati dai sovietici che inviarono nella zona contesa l’allora semi sconosciuto comandante di corpo d’armata Zhukov con un discreto numero di mezzi corazzati. L’escalation non accennava a fermarsi, tanto che il 27 giugno l’aviazione imperiale lanciò un raid a sorpresa contro le basi aeree in Mongolia: pur ottenendo una vittoria, l’assalto non aveva avuto l’imprimatur del Comando Supremo di Tokyo, che anzi proibì all’aviazione e all’esercito del Kwantung qualsiasi altra iniziativa del genere. In luglio il centro dell’azione si spostò su un fronte di appena quattro chilometri nei pressi della confluenza del fiume Holsten con il Khalkin Gol. Nel corso di un massiccio attacco i giapponesi riuscirono ad attraversare il fiume e a realizzare una piccola testa di ponte che, tuttavia, venne eliminata da un rapido contrattacco corazzato, seppur a prezzo di perdite considerevoli. Il comandante sovietico, ormai, era deciso a regolare i conti una volta per tutte e pianificò una controffensiva su larga scala per il mese di agosto. Utilizzando qualcosa come 4000 automezzi per trasportare munizionamento e rifornimenti di vario genere, concentrò ben tre brigate corazzate da utilizzare unitamente ad altre due brigate motorizzate che schierò ai lati della sua formazione, mentre il centro era tenuto dal grosso delle forze di fanteria. Agli inizi del mese Zhukov lanciò una serie di attacchi preparatori che si rivelarono un completo fallimento, ma gli

Truppe sovietiche all’assalto a Khalkhin Gol

permisero di saggiare la reale consistenza delle truppe avversarie. All’alba del 20 agosto l’artiglieria e l’aviazione sovietica iniziarono a martellare le postazioni nipponiche, mentre tre divisioni di fanteria attraversarono il fiume per tenere impegnati i difensori. Contemporaneamente i fianchi dello schieramento sovietico si lanciarono all’attacco per aggirare il grosso della formazione giapponese, applicando per la prima volta la strategia che Zhukov impiegherà con successo – e su scala infinitamente maggiore – a Stalingrado e a Kursk contro le più esperte truppe tedesche ed i loro alleati. Pur ritrovandosi completamente accerchiate, le truppe imperiali continuarono a combattere fino al 31 agosto, cioè fino al momento in cui da Tokyo arrivò l’ordine di cessare ogni attività ostile nel settore. A spingere il governo giapponese a questa decisione, giocò un ruolo non indifferente l’annuncio il 23 agosto del patto Molotov-Ribbentrop che lasciò il Giappone isolato diplomaticamente. Tale mossa diplomatica «convinceva i giapponesi […] di non poter contare sull’aiuto tedesco, di cui erano formalmente alleati e che firmavano un accordo con il nemico che il stava sconfiggendo in Oriente». (2)

Alla luce di ciò, la battaglia di Khalkin Gol ebbe delle conseguenze di importanza vitale per l’andamento della Seconda Guerra Mondiale. La sconfitta, infatti, contribuì a convincere il Giappone a rivolgere la propria attenzione verso il Sud-est asiatico ed il Pacifico, scenario in cui tentò di realizzare la cosiddetta “Sfera di coprosperità della Grande Asia Orientale“, nome altisonante per mascherare un progetto imperialista e di sfruttamento intensivo delle risorse e delle popolazioni locali che, tuttavia, accettarono in gran parte l’occupazione giapponese, in quanto consideravano una potenza occupatrice asiatica preferibile ad una occidentale. Il successo di Zhukov , che diventerà uno dei maggiori comandanti sovietici durante la Grande Guerra Patriottica, venne oscurato dalle notizie provenienti dall’Europa orientale, dove all’alba del 1 settembre 1939 le truppe tedesche attaccarono la Polonia, seguite due settimane dopo da quelle sovietiche che presero possesso delle attuali porzioni occidentali di Bielorussia e Ucraina. Il 13 aprile 1941 i giapponesi stipularono un patto di non aggressione con l’Unione Sovietica che rimase in vigore anche dopo l’avvio di Barbarossa, il 21 giugno dello stesso anno, contribuendo in larga misura alla vittoria sovietica contro la Germania. Per ironia della sorte il trattato che salvò l’URSS venne violato da Stalin nell’agosto del 1945, quando agli sgoccioli del secondo conflitto mondiale l’Armata Rossa invase la Manciuria e occupò la porzione meridionale dell’isola di Sakhalin – persa nel 1905 – e le isole Curili. Il notevole quantitativo di armamenti catturato dai sovietici venne messo interamente a disposizione dell’esercito di Mao che, anche grazie a questo aiuto, riuscì a prevalere sulle forze di Chiang Kai-Shek, che furono costrette a ritirarsi sull’isola di Taiwan.

 

Ps. Tutte le foto sono state prese da Wikipedia per una questione di comodità. Per lo stesso motivo per la traslitterazione del cirillico in alfabeto latino è stata usata la versione presente sullo stesso sito, tranne che per Blucher e Voroshilov.

 

(1)David Bullock, La guerra civile russa 1918-1922. Dalla Rivoluzione d’Ottobre alla nascita dell’Unione Sovietica, Gorizia, Leg Edizioni, 2017, p. 132;

(2)Andrea Graziosi, L’URSS di Lenin e Stalin. Storia dell’Unione Sovietica 1914-1945, Bologna, Il Mulino, 2007, p. 448

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