Mengele e il genocidio degli Herero: le radici del male

mengeleCosa accomuna uno dei più famosi criminali di guerra nazisti, il dottor Josef Mengele, ad una popolazione stanziata nell’attuale Namibia? Apparentemente nulla, sia dal punto di vista geografico – il medico tedesco non mise mai piede in Africa – sia da quello cronologico – i fatti qui esposti si verificarono ben prima della sua nascita. In realtà, nascosto sotto la superficie, vi è un legame molto profondo. Procediamo con ordine.

All’alba del ventesimo secolo la Namibia faceva parte dell’impero coloniale tedesco con il nome di Africa Tedesca del Sud-Ovest. Qui, a differenza degli altri possedimenti tedeschi, si trasferì un numero relativamente elevato di coloni, attirati dalle miniere di rame e diamanti, oltre che dalla disponibilità di terra da coltivare. La popolazione locale venne rapidamente privata del bestiame e delle terre fertili e costretta in schiavitù. Come si può facilmente immaginare queste misure causarono un crescente malcontento che esplose nel gennaio del 1904 quando, capitanati da Samuel Maharero, gli Herero scesero sul piede di guerra attaccando le fattorie dei coloni. In breve tempo i ribelli riuscirono ad avere ragione delle esigue truppe coloniali, arrivando ad assediare i principali centri abitati e a sabotare la rete ferroviaria. Incoraggiati da questi successi anche i Nama presero le armi insorgendo contro i colonizzatori.

La reazione tedesca con si fece attendere e per sedare la rivolta fu scelto un uomo che in Cina si era già distinto nella repressione della Ribellione dei Boxer, il generale Lothar von Trotha, al comando di 15.000 truppe regolari. Costui eseguì i suoi ordini con così tanto zelo da dare il via a quello che viene convenzionalmente definito come il primo genocidio del XX secolo, un evento che con il senno di poi sembra anticipare in modo inquietante gli orrori della seconda guerra mondiale. L’11 agosto del 1904 affrontò e sconfisse le forze ribelli nella battaglia di Waterberg. Circondati su tre lati, gli Herero furono costretti a ritirarsi nell’arido deserto del Kalahari incalzati dalle truppe tedesche che avevano ordine di avvelenare i pozzi e di sparare a vista su ogni indigeno, donne e bambini compresi.  Lo stesso trattamento venne riservato anche ai Nama e ai San. Il numero delle vittime è tuttora imprecisato, ma le diverse stime oscillano tra il 75% ed il 50% della popolazione nativa. Un genocidio in piena regola e come tale è stato recentemente riconosciuto dallo stesso governo tedesco.

E Mengele? Non me ne sono dimenticato, tra un po’ ci arriveremo. Nel dicembre del 1904 il cancelliere del Reich von Bülow ordinò a von Trotha di costruire dei Konzentrationslager dove “accogliere” gli Herero sopravvissuti. In realtà si trattava di anticamere della morte, in cui i prigionieri – specialmente le donne – erano in balia dei capricci delle guardie, non ricevevano abbastanza cibo ed erano sottoposti ad esperimenti medici. Sì, avete letto bene: i medici tedeschi praticarono sperimentazione umana su cavie non consenzienti e non informate dei rischi, il tutto ben prima dell’ascesa di Hitler. Tra tutti vale la pena ricordare il caso del dottor Eugen Fischer. Ossessionato dalla purezza razziale, usò come cavie centinaia di bambini Herero e mulatti nati dall’unione di uomini tedeschi e olandesi con donne native, raccogliendo campioni di ossa e crani che poi spedì ai colleghi in Germania. Sebbene raccapriccianti, le conclusioni dei suoi “studi” vennero accolte con favore dall’ambiente scientifico tedesco. Fischer raccomandava la proibizione dei matrimoni misti, in modo da evitare l’insorgere di una “razza mista”, arrivando a caldeggiare lo sterminio delle “razze inferiori”. Sembra una anticipazione della follia nazista… e lo è. Le leggi di Norimberga, il fondamento giuridico della politica razziale nazista, si basarono proprio sui lavori di Fischer. Gli esperimenti e la carriera di Fischer non si fermarono con la fine dell’impero coloniale tedesco, anzi. Nel 1930 divenne direttore dell’Istituto di antropologia Kaiser Wilhelm, mentre tre anni dopo venne nominato rettore dell’Università William Frederick. Qui condusse ulteriori studi sui mulatti nati dalle relazioni tra donne tedesche e soldati coloniali francesi nel primo dopoguerra, procedendo sistematicamente alla loro sterilizzazione, e, allo scoppio del secondo conflitto mondiale, anche sui deportati zingari ed ebrei. Indovinate di chi fu mentore? Proprio di Josef Mengele e di moltissimi altri medici nazisti che basarono i propri “studi” sui suoi lavori.

La storia di Fischer, che dopo la seconda guerra mondiale era ancora considerato un eminente e stimato studioso, ci dimostra che l’eugenetica e la folle ricerca della purezza razziale non siano nate all’improvviso con l’avvento del Terzo Reich, ma sono state il frutto di un pensiero ben radicato all’interno della comunità scientifica – tedesca e non – a cavallo tra XIX e XX secolo. La stessa sperimentazione umana operata dai nazisti e dagli omologhi nipponici dell’Unità 731 non è da considerarsi come un evento isolato, un lampo di lucida follia, bensì come la naturale conseguenza della suddivisione dell’umanità in esseri umani degni di vivere e in subumani tutt’al più degni di lavorare come schiavi o peggio. Una lezione che non dovremmo dimenticare, soprattutto in questi tempi difficili.

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