Meccanismi di rimozione di Stato: l’armadio della vergogna

sannastazzemaL’impunità dei criminali di guerra nazisti va di pari passo con quella dei loro colleghi italiani responsabili di analoghe violazioni dei diritti umani nei territori occupati di Jugoslavia, Grecia e Albania.

Sin dall’ottobre del 1943 venne costituita a Londra la United Nations War Crimes Commission (UNWCC), incaricata di stilare elenchi di criminali di guerra, in previsione dell’allestimento di un Tribunale internazionale. Per quanto riguarda l’Italia essa venne a trovarsi nella duplice condizione di stilare liste di militari germanici implicati in violazioni dei diritti umani e di veder comparire i propri soldati in liste analoghe stilate dai governi greco e jugoslavo.

Per quanto riguarda i criminali nazisti, già dall’agosto 1945, il governo Parri decide di delegare ad un tribunale internazionale l’accertamento dei reati “non localizzabili” commessi da alti ufficiali germanici, esprimendo, tuttavia, preoccupazione per la possibile applicazione dei medesimi principi verso militari italiani. Ciò avrebbe significato che gli ufficiali di alto livello (comandanti di armata, di corpo e di divisione) sarebbero stati processati da un tribunale internazionale, mentre i responsabili locali dalla magistratura ordinaria italiana. I vari incartamenti sarebbero stati raccolti dalla Procura generale presso il Tribunale supremo militare che avrebbe provveduto a spartirli tra la magistratura alleata e quella italiana, ma in realtà non fece altro che aiutare il processo di insabbiamento.

Nel 1950 (governo De Gasperi), anno in cui i tribunali alleati in Germania chiusero i battenti, il bilancio dei procedimenti contro i criminali di guerra nazisti è molto poco confortante. Ci furono, infatti, solo 5 condanne, per un massimo di 15 anni, contro le 1500 della Francia, le 1700 della Jugoslavia e le 50 della Danimarca1. Come mai questa disparità di giudizio? Franzinelli giustamente indica due possibilità: o una occupazione particolarmente mite, o l’abdicazione della magistratura repubblicana ai propri doveri istituzionali contro i criminali di guerra. Escludendo la prima, per ovvie ragioni, rimane solo la seconda.

Motivo di questo atteggiamento è sicuramente da ricercarsi nel mutato assetto geopolitico: si era agli inizi della Guerra Fredda. La Germania (o almeno quella occidentale) non era più un nemico, bensì un alleato strategico contro il “moloch” sovietico. Per questo motivo gli americani iniziarono una sistematica revisione dei processi appena conclusi: molti condannati videro le loro pene ridotte o furono amnistiati, come accadde all’industriale Krupp. Inoltre, molti ex nazisti erano stati reintegrati nei ranghi del neonato esercito federale, analogamente a quanto accadde agli ex fascisti in Italia.

Nella seconda metà degli anni ’50 le cose non accennano a cambiare, visto che il procuratore generale Mirabella, il ministro Martino (Esteri) e il ministro Taviani (Difesa) decretano una linea di condotta di assoluta inerzia in nome della ragion di Stato. Infine, il 14 gennaio 1960, si giunge all’archiviazione provvisoria di 695 fascicoli ordinata dal procuratore generale Santacroce. Tali fascicoli vennero occultati in uno sgabuzzino inaccessibile al pianterreno di Palazzo Cesi, in via dell’Acquasparta, a Roma. Il delicato materiale processuale fu stipato in un armadio di legno con le ante appoggiate contro la parete; l’ingresso della stanzina era protetto da un cancello di ferro chiuso a chiave2. Rimasero lì fino al 1994, quando vennero ritrovati casualmente. Altri 1300 fascicoli, contenenti vaghissime informazioni, furono inviati alle procure territoriali per salvare le apparenze. Santacroce si fece interprete della volontà politica del Governo e nella fattispecie del ministero della Difesa, all’epoca presieduto da Giulio Andreotti.

La vicenda dei criminali di guerra italiani ricercati da Etiopia, Grecia e soprattutto Jugoslavia è per certi versi molto simile.

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Terza parte. I criminali di guerra italiani

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Note:

1M. Franzinelli, Le stragi nascoste, Oscar Mondadori, Milano 2003, p. 123

2M. Franzinelli, Le stragi nascoste, Oscar Mondadori, Milano 2003, p. 137

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